lunedì 5 maggio 2008

Lager Tomorik

Lager Tomorik

Capitolo 1
Da oltre due ore, chiuso nel mio ufficio, attendevo il “beep” dell’interfono; nell’attesa contemplavo distrattamente dalla finestra le strade velate da una nebbiolina uggiosa, fumavo la pipa e m’angustiavo. Era una tipica, brumosa, mattinata d’autunno avanzato: i fari delle vetture si riverberavano sull’asfalto umido e i passanti camminavano frettolosi come se loro unico desiderio fosse quello di rintanarsi in un posto caldo e confortevole.
Finalmente il “beep” squillò ridestandomi dal senso d’intontimento che mi stava assalendo, forse a causa del “Latakia” che mai aveva cessato di bruciare nel fornello, forse a causa della banalità del panorama esterno.
- Marchi! - tuonò dall’interfono una voce autoritaria.
- Dica pure, signor presidente.
- Vuole venire nel mio ufficio, per cortesia? Avrei un programmino da esporle.
- Subito, signor presidente.
Il momento era giunto!
La convocazione mi era stata preannunziata dal dottor Renato Laurenti, collega alla “I.S. - Industrial Security s.p.a.” nonché funzionario di grande abilità ed esperienza, mentre io, al presente, m’occupavo di ben più modeste questioni tecniche con divagazioni varie nel ramo scartoffie e scocciature burocratiche.
Avevo fatto la sua conoscenza durante un “master” e avevamo subito simpatizzato. Si può dunque immaginare con quale entusiasmo, alcuni mesi dopo, avevo accolto la prospettiva di lavorare con lui alla “I.S. S.p.A.”, quando la mia domanda d’assunzione era stata accolta.
Circa due ore prima della convocazione da parte del presidente, Laurenti era venuto nel mio ufficio, aveva acceso una delle sue fetide sigarette francesi e m’aveva fissato dritto negli occhi.
- Cose grosse in vista, Marchi. - aveva detto dopo i saluti di circostanza.
- Come mai mi chiami per cognome, Renato? Si tratta d’una faccenda ufficiale?
- Affatto, si tratta di un’informazione molto confidenziale, sebbene della massima importanza. Prima d’entrare nei dettagli però vorrei sapere come te la cavi nel settore del controllo mezzi spaziali.
- Non male, direi, è stato anche il tema della mia tesi di laurea, tuttavia...
- Lo sapevo, altrimenti perché credi mi sarei rivolto proprio a te?
- Sono sinceramente lusingato, tuttavia, stavo dicendo, da allora temo di essermi arrugginito. Vedi, si tratta di materia specialistica, limitata a una cerchia ristretta: uno come me, ormai fuori dalla cerchia, non ha occasioni di mettere in pratica le sue nozioni.
- Allora ripassa per benino la tua tesi perché potrà tornarti utile... Hai mai sentito parlare di “Progetto Eurocruiser”.
- Alludi al nuovo vettore europeo per telefonia satellitare?
- Appunto. Un vettore rivoluzionario, e non esagero... e forse saprai che anche il nostro paese fa parte del progetto, per quanto riguarda i sistemi di guida, e che l’intera operazione è affidata alla “Astertron S.p.A.” sotto la supervisione del professor Rigoldi
- Rigoldi? Quel Rigoldi là?
- Proprio lui.
- Diavolo d’un uomo! Teneva lezioni di sistemi automatici quando mi sono laureato: una testa di tutto rispetto, niente da dire, ma era capace di venire in Politecnico con le scarpe spaiate per un mese di seguito. Mai visto un individuo tanto nelle nuvole.
- In ogni caso hai detto la cosa giusta: una testa di tutto rispetto, peccato che, come tutti i geni, si trovi a mal partito in mezzo alle scartoffie e così...
- Ho capito: la “Astertron” cerca un assistente per alleggerire Rigoldi dalle incombenze burocratiche...
- E che si dia da fare se accade qualcosa di... ehm, di strano attorno a Rigoldi e al progetto.
- Allora, siccome, guarda caso, la “I.S. S.p.A.” ha nell’organico un funzionario stufo di mortificare le sue notevoli potenzialità rimescolando cartacce tutto il giorno... Ci sto.
- Piano; come t’accennavo non c’è ancora niente d’ufficiale, ma ho l’impressione che, tra non molto, il gran capo si farà vivo con te.
- In certe cose ci azzecchi sempre. - replicai gongolante.
- Caro Ezio mi sembri entusiasta.
- E perché non dovrei esserlo?
- Bene, bene, bene. - commentò Laurenti con un’ambigua sfumatura nella voce.
- Un momento, bello! Quel tono di voce non mi piace affatto! Dov’è la fregatura?
- No, dicevo, vorrei aggiungere che...
- Dovevo sospettarlo: uno non fa una carriera come la tua se non rifila bidoni a colleghi e amici.
- Stammi bene a sentire Ezio, qui è in ballo il tuo futuro: quest’incarico rappresenta un salto di qualità, può aprirti ottime prospettive. Credimi, vale la pena di affrontare qualche sacrificio...
- Sacrificio? Lo sapevo, lo sapevo!
- Perché fai quella faccia? Due secondi fa sembravi al settimo cielo... In fondo mica è una tragedia stare qualche mese in Brasovia.
- In Brasovia, accidenti! E che diavolo ci fa Rigoldi in Brasovia?
- Ma sei sordo? Progetta i sistemi di guida ”Eurocruiser”, ho detto.
- E proprio in Brasovia doveva sbrigare questa faccenda Rigoldi? A quanto mi risulta la sede “Astertron” si trova a mezz’ora di metro da qui.
- Forse non mi sono spiegato: pensi che il programma “Eurocruiser” sia un nuovo videogioco?
- No, ma...
- Te l’ho pur detto: Rigoldi sta lavorando su qualcosa di rivoluzionario nel settore, qualcosa che può trovare anche altre applicazioni e che dà fastidio a molti, in particolare a quelli della “Elektrobund A.G.” di Francoforte: i crucchi non hanno mai digerito che una banda d’italiani pitocchi, camorristi e spaghettari si siano accaparrati l’appalto per il progetto del sistema di guida “Eurocruiser”. Capisci adesso?
- Perfettamente: per evitare fughe di informazioni, sabotaggi e spiate di vario genere, il nucleo operativo del progetto s’è trasferito armi e bagagli in Brasovia, magari in località segreta e, ci scommetterei, alquanto isolata e protetta.
- Per la precisione sul Tomorik.
- E che diavolo sarebbe il Tomorik?
- È una montagna a circa cento chilometri dalla capitale: negli anni 60 quel paranoico bolscevico che comandava laggiù, ci ha fatto costruire una specie di fortezza, un caposaldo dove organizzare personalmente la resistenza in caso d’invasione imperialista. È una delle poche strutture militari della Brasovia mantenute in discreta efficienza, anche se solo il cielo sa perché. Comunque, in seguito ad accordi segreti tra i nostri e i loro ministri dell’industria e della difesa, la Brasovia ci ha concesso di utilizzarla per il progetto, fornendoci anche la truppa per la protezione esterna. Inutile a questo punto spiegarti che anche il nostro governo è interessato ad agevolare i lavori dell’“Astertron”, della quale quel certo sottosegretario, buon amico del nostro beneamato capo, è azionista parecchio influente.
- E io che c’entro?
- Dico, Ezio, ci fai o ci sei?
- A questo punto fingo di non aver capito. Sinceramente preferirei tu m’avessi fatto una proposta indecente... Brasovia? Mi viene il voltastomaco solo a pensarci!
- Ezio, ti ripeto, sentimi bene...
- No Renato, sentimi bene tu: non so bene il motivo ma da quando hai pronunciato il termine Brasovia questo cesso di città è diventata tutt’un tratto incantevole, con il suo PM10, il suo traffico della madonna, le sue multe per divieto di sosta e i suoi ceffi che circolano indisturbati e pronti a scucirti la pancia per fregarti il portafoglio. All’improvviso qui mi trovo come un topo nel parmigiano e non mi garba di muovere le chiappe.
- Ma in fondo si tratta solo...
- Alt, non ho concluso. Vorrei aggiungere che sto finendo d’arredare un loft in zona Barriera Vecchia, un’autentica ficata; quando l’avrò finito ti c’invito a bere una bottiglia messa da parte per le occasioni. Inoltre, sabato sera al “Delirium”, sono stato rimorchiato da una certa Linda, un tipino niente male che, modestia a parte, credo si sia presa una sbandata per me...
- Lasciami...
- Concludendo, giusto ieri ho ritirato una “Porsche” e vorrei provarla con Linda il prossimo week-end. Pensi che, con un programmino del genere, intenda ancora sentir parlare di Brasovia?
- Il tuo punto di vista è più che comprensibile Ezio, ma, tanto per restare in argomento, parliamo della tua “Porsche”... L’hai pagata in contanti?
- Beh, non... però ho versato un congruo anticipo.
- Pensi di farcela, con il tuo stipendio?
- Cos’hai da dire sul mio stipendio? Non è mica da fame e poi ci sono i benefits.
- Ieri la direzione amministrativa ha sospeso tutti i benefits a tempo indeterminato, e con effetto immediato. Questioni di budget, dicono. Sapessi che fregatura anche per me.
- Che li pigli...
- Per questo, vecchio mio, ho pensato che la faccenda della Brasovia poteva interessarti: infatti, ci sarebbe la trasferta.
- Approfitti delle mie necessità temporanee?
- No, sto solo illustrando i vantaggi della proposta.
- E tu pensi che io, per quattro sudici...
- Tre.
- Tre? Di bene in meglio... Un momento: tre cosa?
- L’indennità ammonta a tre volte lo stipendio base netto, il quale, a sua volta, sarebbe incrementato del trenta per cento, con effetto retroattivo da gennaio e, ovviamente, a tempo indeterminato.
- Ca...
- La cosa ricomincia a interessarti, oserei dire.
- Certo che, pensandoci bene... Ma no, Renato, cosa mi fai dire? I soldi non sono tutto, non sono avido fino a questo punto e quanto guadagno basta e avanza. Per la macchina poi, avessi dei problemi, potrei sempre vendere la villetta che m’hanno lasciato i miei al paese.
- E tu, per una macchina che non puoi nemmeno permetterti, venderesti la casa dove vissero felici e contenti i tuoi poveri genitori?
- Senti chi viene a farmi la morale! A ogni buon conto non parlarmi più di Brasovia, non esiste proprio! Chiuso!
- Ahi, ahi Ezio, dolente ma, a questo punto, mi metti con le spalle al muro. - disse Renato assumendo un’espressione severa e beffarda a un tempo.
- Non capisco.
- Sono tante le cose che non capisci. Per esempio, hai mai capito perché sei qui?
- Perché la mia domanda è stata accettata, direi.
- E appoggiata, direi.
- E da chi?... Cristo! Tu?
Renato annuì con un risolino sotto i baffetti ben curati.
- Continua così che vai bene - rispose colui che credevo un amico - e magari finisce pure che intravedi un valido motivo per non rifiutare la proposta del signor presidente, quando, e se, te la farà.
- “E se”? Ci sarebbe dunque una possibilità... - replicai intravedendo un barlume di speranza.
- Una su mille, penso, dopo quanto gli ho detto di te.
- E il loft? E la “Porsche”? E Linda?
- Nessun problema, Ezio; dammi le chiavi di casa e della macchina che provvedo io a tutto: per il loft mando la mia donna delle pulizie ogni settimana, per la “Porsche” penso io ad anticiparti le rate e a farle un buon rodaggio, quanto a quella Linda, se avrai la bontà di presentarmela prima della partenza...
- Una cosa continua a sfuggirmi.
- Dì pure.
- Come faccio a resistere all’impulso di strozzarti all’istante. Al processo le attenuanti sarebbero moralmente obbligati a concedermele.
- Credimi Ezio, mi spiace profondamente.
- Tieni per te le tue lacrime di coccodrillo!
- No, dicevo, mi spiace dover aspettare per bere il tuo famoso vino; so che sai scegliere... Beh, vecchio marpione, adesso ho altro da fare. In bocca al lupo.
Ed eccomi davanti al portoncino in mogano con la scritta:
Cav. Prof. Col.
Parsifal Ferrero
Presidente
Il presidente era sulla sessantina, di statura alta, robusto, con occhi color acciaio e sprizzava energia e autorevolezza da tutti i pori.
Prima d’assumere l’attuale incarico, era stato ufficiale dell’Arma e della sua esperienza militare aveva serbato il piglio decisionista e il cranio rasato a zero.
- Buongiorno Marchi, s’accomodi.
- Grazie signor presidente.
- Bando ai convenevoli Marchi; stamattina ho un monte di cose da sbrigare quindi le espongo subito il problema.
Il presidente illustrò più o meno quanto avevo già saputo da Renato, dopodiché, squadrandomi da dietro le lenti, chiese:
- Laurenti ritiene lei la persona più adatta per quest’incarico. Ne conviene?
- Signor presidente, il dottor Laurenti è mio buon amico e per questo non ritengo imparziale il suo giudizio, infatti credo...
- Marchi, intende forse dirmi che Laurenti è improvvisamente rimbecillito?
- Ci mancherebbe signor presidente, tuttavia...
- A ogni modo, Laurenti o non Laurenti, ho qui il suo fascicolo e ho verificato le sue note personali, tutte assai positive... Dunque: laurea in ingegneria aerospaziale con il massimo dei voti, corsi di specializzazione, pubblicazioni, eccetera... incarichi di responsabilità presso grosse aziende, ottime referenze, eccetera... Ah ecco, servizio di leva nei Carabinieri, congedato con encomio... anche questo ha la sua importanza... Sia sincero Marchi: non le sembra d’essere sottoutilizzato qui da noi?
- Signor presidente, la prego di credermi: le mie mansioni sono pienamente commisurate alle mie capacità e anche la paga è più che soddisfacente.
- E lei è un mentitore, Marchi: la verità nuda e cruda è che lei sa benissimo di star qui a fare lo scribacchino solo perché Laurenti, molto opportunamente, voleva assicurare alla “I.S.” una persona dotata, un elemento su cui contare in caso di grave necessità... Orbene Marchi: il caso di grave necessità è arrivato e spero lei sia all’altezza delle attese. Sono stato chiaro?
- Vorrei farle presente, signore...
- O bastalà Marchi! Accetti altrimenti caccio a calci nel sedere lei e quel Laurenti che ha osato appoggiare la sua assunzione!
- Allora, se le cose stanno così...
- Sissignore, stanno proprio così!
Quindi il capo prese a illustrare in dettaglio le mie future mansioni, consistenti nel fingere di continuare a manipolare documenti cartacei e informatici, osservando con discreta attenzione tutto quanto interessava Rigoldi e le persone che lavoravano al progetto.
- Inutile raccomandarle acqua in bocca con chicchessia fin da quando lei avrà lasciato quest’ufficio. - aggiunse il presidente.
- Allora la faccenda è seria.
- Marchi, ha forse deciso di farmi uscire dai gangheri? Certo che è seria, serissima, cuntacc’!
- Mi voglia scusare, signor presidente.
- Ma si rende conto dell’alta responsabilità di quest’incarico, Marchi? Qui in ditta c’è gente che darebbe il braccio destro per il suo posto.
- Sono davvero lusingato, signor presidente.
- Se lei non fosse più ipocrita d’un fariseo, Marchi, potrei promuoverla mio vice entro un paio d’anni... E adesso si precipiti a casa, prepari le sue cose e domattina alle sette in punto si rechi all’aerodromo di Rovedrasca. Troverà il jet privato dell’“Astertron” pronto a scodellarla all’aeroporto della capitale Brasograd; dal momento in cui salirà sul velivolo lei entrerà ufficialmente nell’organico “Astertron”, a tutti gli effetti... Un attimo Marchi, non ho ancora finito; tenga. - aggiunse il presidente porgendomi una busta sigillata con la ceralacca - Questa contiene istruzioni riservatissime: la porti sempre con sé e la apra solo in caso d’assoluta emergenza... assoluta emergenza, intesi? Qualora non se ne serva me la riconsegni tale e quale a fine missione. È tutto Marchi, in bocca al lupo e veda di non deludermi.
- Ossequi e grazie, signor presidente. - dissi congedandomi con un inchino.
«Vaff... vecchio trombone, tu, quel pataccaro di Renato e tutto il progetto “Eurocruiser”!» sibilai tra me lasciando l’ufficio del gran capo.

Capitolo 2
Avevo appena chiuso la “Samsonite” quando la suoneria del telefonino mi fece sobbalzare.
- Maledizione, l’ho messo dentro, e acceso, pirla che sono! - esclamai mettendo a soqquadro la valigia tanto laboriosamente sistemata - Dove ti sei cacciato, bastardo? Magari il capo telefona per dirmi d’aver cambiato idea. Ma dove sei, dove sei? Cristo che casino! Ragioniamo: il blazer che avevo stamani, non puoi che essere lì... Eccoti gran figlio di... Pronto Marchi, Ezio Marchi, chi è?
- Chi è? - rispose maliziosa una voce femminile.
- Senta, gentile signora o signorina secondo i casi, in questo momento non sono in vena di giochetti telefonici, quindi dica chi è senza tante smancerie, se non le dispiace!
- Cosa ti prende Ezio? Ah, capisco: con la bolgia che c’era al “Delirium” ho dovuto strillare per farmi sentire. Scusami, non potevo certo pretendere che tu mi riconoscessi quando parlo normalmente.
- Oh Linda, scusami tu per la scortesia ma sto passando un quarto d’ora di merda!
- Dici? Allora ti chiamo un’altra volta.
- No, no! Non immagini quanto mi sollevi il morale sentirti.
- Ti telefonavo per farmi perdonare d’averti piantato in asso l’altra sera al “Delirium”.
- Non è il caso, ho capito benissimo: eri con amici e non ti pareva corretto piantare in asso loro.
- A ogni buon conto mi sento in debito e per questo ti offro una cosa al “Lounge Bar” di Porta Nuova.
- Accetto se, dopo il drink, tu accetti di venire a cena.
- Positivo, però solo pizza. Stasera non ho nessuna voglia di mettermi in ghingheri... Diciamo alle sette?
Alle sette meno cinque parcheggiavo la mia fiammante “Porsche” davanti all’ingresso del “Blue Velvet” di Barriera Porta Nuova e, appoggiato al parafango anteriore, m’accingevo a una paziente attesa, ben sapendo come, per non mettersi in ghingheri, le belle fanciulle impieghino poco meno del tempo che impiegano per mettercisi, vale a dire un’eternità in ogni caso. Ma stavolta avevo sbagliato: alle sette spaccate Linda usciva dalla metro.
Il sabato precedente, vedendo Linda al “Delirium”, la prima impressione era stata che si trattasse d’una della numerose squinzie specializzate nello stuzzicare le burinesche morbosità comuni a tanti frequentatori di discoteche: infatti la sua tenuta - microgonna e bolerino in pelle nera tutti frange e borchie, calze nere a rete, stivaletti neri con tacco a spillo e “piercing” al grazioso ombelico - era la più plateale e sfacciata tra le cose plateali e sfacciate che si possono ammirare in locali tipo quello menzionato.
Tuttavia motivi d’interesse ce n’erano, eccome se ce n’erano! Infatti, osservando Linda da uno sgabello del bar e sorseggiando un ”Mojito”, il mio sguardo si focalizzò sul bolerino e mi divertii a prevedere quanto il lacciolo che tratteneva sul davanti l’esiguo indumento resistesse al “tourbillon” dei generosi contenuti, agitati dalla frenesia d’un ritmo ossessivo e assordante.
Il lacciolo s’allentava sempre più ed io lo fissavo con partecipazione sempre crescente, quando...
Non ho mai ben capito che significhi “feeling”, però l’avvertii prepotente quando realizzai che anche la bella squinzia guardava me e mi sorrideva: la sua bocca era un po’ larga, ma ben disegnata, carnosa e sapida. Quel sorriso m’incoraggiò a fissare la fanciulla dritto negli occhi grandi, vivaci, dal taglio vagamente orientale e di un insolito color nocciola con riflessi solari.
A esser sinceri, non potei cogliere subito tutti questi dettagli, causa il baluginio di luci sulla pista, il trucco pesante e le lunghe ciglia finte esibite dalla giovane; quella che invece colsi fu la spavalderia con cui Linda sostenne il mio sguardo e il lampo inequivocabile che accese il suo. Così, quando lei, dopo un minuto, smise di ballare, s’arrampicò sullo sgabello vicino al mio e accavallò le gambe affusolate, ero pronto all’ingaggio:
- Ciao, sono Linda e vorrei sapere che ci fa un fico del tuo calibro in un cesso come questo? - chiese ancor ansimante ravviandosi i lunghi, morbidi ricci biondo-castani.
- Ciao bellezza, sono Ezio e sai una cosa? Nei vecchi western di solito è l’uomo che fa questa domanda alla pupa del saloon.
- M’hanno trascinato qui degli amici, ma giuro che non ci rimetto più piede, uffa!
- Perché? Clientela d’elite, trovo.
- Ma và. In ogni modo me l’aspettavo, perciò ho scelto un look adatto per questi buzzurri... Allora bello, posso sapere come sei capitato qui?
- Puoi anche non crederci ma un buon genio m’ha detto che t’avrei incontrato.
A onor del vero mi trovavo in quel postaccio per colpa d’una robusta porzione di “cassoeula”, seguita da polenta e gorgonzola e innaffiata con un’anonima Bonarda dell’Oltrepo, nera e corposa. Il tutto m’era stato ammannito sabato a cena da zia Ofelia la quale, dopo la tragica fine dei miei sull’A4, s’era assunto l’incarico di madre adottiva e, come tale, si preoccupava della mia alimentazione, ritenendola sempre insufficiente.
La sua cucina era semplice e gustosa ma, a dir poco, un tantino greve: infatti fatale conseguenza della cena era stato un continuo rigirarmi tra le coltri nel tentativo di prender sonno. Pertanto, a mezzanotte e venti, avevo deciso di rivestirmi e fare quattro passi per le vie del quartiere percorse da vetture cariche di gioventù schiamazzante e dirette al “Delirium”, ultima attrazione per la fauna del sabato sera.
«E perché non anch’io?» m’ero detto camminando verso la stessa meta. Non che fossi un fanatico delle megadiscoteche ma ero stato improvvisamente colto dalla curiosità di visitare l’oggetto di tante proteste ed esposti da parte del vicinato.
Questa, signori, la pura verità sui motivi della mia visita al “Delirium” ma rivelarla ad una con occhi come quelli che mi fissavano in quel momento avrebbe gravemente compromesso l’“allùre” che, sempre in quel momento, avvertivo d’esercitare sulla bella.
- Invece a me il buon genio non ha detto niente ma credo si sia dato lo stesso da fare per rendere proficua la serata. Peccato che, per il momento, dobbiamo chiuderla qua... Accidenti! Quei rompipalle mi scocciano da morire ma non posso mollarli, ne va del mio lavoro... Mi dai il numero di cellulare? Ti chiamo appena posso.
Così s’era concluso il breve incontro tra me e Linda ma la luce che brillava negli occhi di lei mi consentì, quella sera, di nutrire ben fondate speranze cui, solo pochi giorni dopo, il Cav. Prof. Parsifal Ferrero avrebbe posto fine.

Capitolo 3
Dovetti fare un certo sforzo per identificare nella giovane acqua e sapone che mi veniva incontro la sfacciatissima squinzia del “Delirium” comunque trovai Linda ben più attraente in husky verde e jeans bianchi che non vestita (si fa per dire) con quella roba stile sadomaso.
Il trucco leggero valorizzava l’ovale del volto, quasi perfetto se si eccettuava la mascella graziosamente volitiva, mentre la luce degli occhi, non più velata dalla pesante bistratura e dalle ciglia finte, sembrava rischiarare quella triste serata novembrina: se, in discoteca, di Linda avevo potuto ammirare le forme flessuosamente statuarie, quella sera la mia attenzione si concentrò sull’aggraziata atipicità del volto.
«Cristo, possibile? Dover rinunziare a un simile bocconcino prima ancora d’averlo assaggiato?» mi chiesi sconsolato.
- Uàu, tesoro! - cinguettò Linda indicando la “Porsche” - Che meraviglia! È tua?
- Pensi che oserei posare il fondoschiena su questo gingillo se non fosse mio?
- Allora sei ricco... Yuhuuu! Non ti mancava che questo per vincere l’Oscar dei fichi!
- Macché ricco: alla “Biturbo Motors Financing” hanno dovuto comprare un nuovo scaffale solo per le mie cambiali. È stato uno sfizio, un capriccio che ho voluto togliermi ma se penso a tutti quei foglietti con la mia firma mi viene la pelle d’oca.
- E magari prima avevi i nervi proprio per questo.
- Non solo. A ogni modo per pagarla dovrò fare un sacrificio... un grosso sacrificio. - replicai guardando Linda nelle pupille maliose.
- Fammi capire, Ezio. Si direbbe che nei tuoi malumori c’entro anch’io.
- In un certo senso hai indovinato. Ma vogliamo parlarne dentro? M’è venuta voglia d’un cicchetto.
Il “Blue Velvet” era uguale a migliaia d’ambienti consimili sparsi ai quattro angoli della terra: luci soffuse, separé, atmosfera ovattata, servizio discreto, una giovane, esangue, pianista che strimpellava con aria ispirata variazioni sul tema “The man I love”. Uno di quei posti, insomma, nei quali gli innamorati si bisbigliano frasi che a loro sembrano nuove, insolite e meravigliose e che in realtà sono vecchie come il cucco ma non perciò meno meravigliose.
- Allora posso sapere cosa ti tormenta? - chiese Linda quando ci fummo seduti.
- Devo partire Linda, devo partire domattina alle sette con un jet privato e non chiedermi di più: segreto d’ufficio.
- Se è uno scherzo non mi fa ridere... O forse vuoi già scaricarmi? – ribatté stizzita la giovane.
- Non scherzo Linda e non intendo scaricarti. Credimi, devo partire ma non posso rivelare ad anima viva né il motivo, né la destinazione e non so nemmeno quanto starò via, forse otto mesi, forse più... Merda, che fregatura!
- Oh, mio Dio! - esclamò la giovane rendendosi conto che non scherzavo - Sarai mica uno di quegli agenti speciali?
- No, ma in pratica è come se facessi parte d’un commando inviato in missione segreta; l’unica differenza è che non rischio la pelle, almeno spero.
- Allora penso non sia neanche il caso di pensare a telefonate, lettere o fax, vero?
- Assolutamente: sarà una vita da eremita e l’unica compagnia sarà un branco di tecnici suonati.
- Solo tecnici maschi o ci sono anche femmine?
- Non lo so ma ritengo la mia destinazione un posto non molto adatto alle donne.
- Bene, così non avrai occasione di tradirmi.
- Credo proprio di no... Ehi, ma di quali tradimenti parli? Mica è successo niente tra noi.
- Allora facciamo succedere qualcosa. - ribatté Linda con una luce maliziosa nello sguardo.
- Dici?
- Dico.
I sottintesi contenuti in quel secco indicativo presente scatenarono in me un brivido che solo il pensiero del Cav. Ferrero riuscì a dominare.
- No Linda, dammi retta: meglio lasciar correre. - dissi tremando.
- Non vuoi fare l’amore con me? - replicò Linda insinuante, passando e ripassando la lunga unghia laccata corallo del suo indice destro sul dorso della mia mano sinistra.
- Non è questo, tesoro, lo voglio tanto da star male ma in questa situazione sarebbe un’imprudenza.
- Perché?
- Perché se lo facessi sono sicuro che domattina, all’aeroporto, qualcuno, non vedendomi arrivare, s’incazzerebbe di brutto e in capo a mezz’ora mi troverei licenziato in tronco.
- È la più bella dichiarazione che potevi farmi, amore. Ma non vedo il problema.
- Linda, a parte i tuoi “look” da discoteca, mi sembri una ragazza con la testa sulle spalle quindi dovresti capire che non sempre affari e sentimenti vanno d’accordo... Qui si tratta del mio futuro: davvero ti piacerebbe che il tuo uomo, dopo una travolgente notte d’amore, si fiondasse a comprare “Annunci Gratuiti” per rimediare un posto da aiutante manovale? Con tutto il rispetto per i manovali, sia chiaro.
- Capisco. - sospirò la giovane - E allora?
- Allora rassegnati a restare tra “le rose che non colsi”.
- Col cavolo che mi rassegno! - esclamò Linda decisa.
- Non dire assurdità.
- Non dirne tu, bamboccio! Nel caso non fossi stata esplicita, sappi che ti considero l’uomo dei miei desideri. Figurati se mi spaventa l’idea d’aspettarti. Tu pensa solo a tornare vivo e vegeto, al resto penso io!
- Sai una cosa amore? Credo che anche tu sia la donna dei miei...
Non potei proseguire: Linda me lo impedì incollando le sue alle mie labbra.

Capitolo 4
Fuori dello scalcinato aeroporto di Brasograd incontrai il Taveggia, un giovanotto dall’aria disinvolta - anche se non troppo sveglia - che si presentò come incaricato del mio trasferimento alla sede dell’“Astertron Brasovia S.p.A.”
- L’elicottero è già all’interno dell’aeroporto, suppongo. - dissi, appena fatte le presentazioni.
- Quale elicottero? Per lei abbiamo questa. - ridacchiò Taveggia caricando i miei bagagli su un rugginoso gippone russo.
- Ah, e questi sarebbero i potenti mezzi messi a disposizione dall’“Astertron” per i suoi dirigenti?
- Tranquillo, ingegnere, come carrozzeria è una merdata ma alla meccanica provvedo io personalmente e ci assicuro che fila come una scheggia... Vacca troia! - esclamò il giovane girando la chiavetta.
- Ha detto?
- L’accumulatore è andato.
- Cominciamo bene.
- Quei pidocchiosi degli approvvigionamenti! Da un mese ci mando a chiedere tre batterie da 100 ampere, siccome che in questo schifo di paese non si trova una madonna, e loro ciccia! Tutto perché il ragionier Vismara, un taccagno, un buono a niente, un pirla da premio Nobel dei pirla, vuol far bella figura col vicepresidente! Qua non abbiamo neanche gli occhi per piangere, porca schifa!
- Non è grave, chiamiamo il soccorso stradale con il cellulare. Avrà il numero, immagino.
- Uèi, ingegnere, crede per caso d’essere ancora in Padania?
- No, ma...
- Tranquillo, ingegnere, ghe pensi mi.
Taveggia scese dalla macchina sventolando un mazzetto di banconote bisunte e sbraitando, nell’ostico idioma locale, qualcosa all’indirizzo d’alcuni sfaccendati che bighellonavano nelle vicinanze: alcune spinte e numerose bestemmie bilingui indussero il gippone ad avviarsi scoppiettando.
Dopo un monotono percorso attraverso un bassopiano acquitrinoso e scarsamente abitato, la strada prese a inerpicarsi verso le montagne, sempre più accidentata e pericolosa.
- Taveggia, per amor del cielo, potrebbe andare più piano? - implorai - Questo catenaccio mi dà il voltastomaco.
- Non posso ingegnere: devo fare in fretta perché la vicepresidenza ha fatto sapere che meno ci vedono in giro meglio è. In ogni caso tranquillo, ingegnere: questa strada la faccio tre volte la settimana col camion dei rifornimenti.
- Il fatto è...
Il fatto era che non mi garbava un accidente - visto che già avevo il cuore in frantumi - di ritrovarmi con le budella in analoghe condizioni.
- Guardi là - disse un bel momento Taveggia indicando una dorsale innevata - il Tomorik. Noi stiamo proprio là sotto. Bello, eh?
- Accidenti, ma c’è già la neve!
- E allora? Abbiamo perfino il riscaldamento, quando che funziona. E quando che funziona no, mi sun chì!
«Porc...!» imprecai tra me «perché non ho ceduto all’impulso di strozzare Renato? Adesso me ne starei in una comoda cella, servito e riverito, o magari in regime d’arresti domiciliari a spupazzarmi Linda.»
Dopo un’interminabile stradaccia, indegna financo del peggiorativo, il gippone sbucò sul margine d’un desolato pianoro chiazzato da macchie di neve e flagellato da un vento gelido. Sul pianoro, disseminati qua e là, vecchi bunker in cemento armato e baracche scalcinate. La mia impressione fu conforme alle attese: il classico posto del cazzo.
- Siamo arrivati ingegnere. Eccoci servito il “Lager Tomorik”. - disse Taveggia.
- Bella, davvero bella la sede dell’“Astertron Brasovia” - commentai - tale e quale la sede centrale in Corso Diaz.
- Ma il più bello deve ancora vederlo. Qua sotto il terreno è come una gruviera: tunnel dappertutto, sembra di stare nella metro.
Dopo una breve rampa in discesa, giungemmo davanti a una sbarra che chiudeva l’accesso a un’area protetta da reticolati e cavalli di Frisia. In prossimità della sbarra sorgeva una casupola, dalla quale, udendo il fracasso mandato dalla vettura, la cui marmitta era ovviamente sfondata, uscì un gigante barbuto in anfibi, basco nero e tuta mimetica e con un aggeggio - che sarebbe piaciuto a Rambo - puntato diritto verso il mio stomaco.
- Accidenti Taveggia! Dica a quell’energumeno di metter giù l’artiglieria! Detesto le armi, Cristo!
- Tranquillo, ingegnere. Quello è Lazar, il capoposto, e conosce il mestiere. Mica per niente i brasovi ci hanno mandato il plotone meglio addestrato di tutto l’esercito. Dia a me passaporto e credenziali, pensi mi a tücc’.
Superato il posto di guardia, dopo alcune decine di metri, Taveggia arrestò la vettura vicino a un grande bunker chiuso da un portone di ferro sul cui architrave era piazzata una telecamera. Giunto davanti alla porta, il giovane inserì una tessera magnetica nella fessura d’un congegno collocato sul lato destro, digitò alcune cifre su una pulsantiera e il portone s’aprì girando silenziosamente sui cardini.
Entrammo in un locale ampio e opprimente con pareti in cemento trasudanti salnitro; la temperatura era tuttavia resa accettabile da un aerotermo; a fianco di questo si trovava una scrivania, con sopra una macchina per formattare badge e un interfono, dietro la quale sedeva un uomo in uniforme azzurra, berretto a visiera ornato dal logo “Astertron”, una “44 magnum” pendente dal cinturone e la facies inequivocabile del gendarme prepensionato.
- Ciao terùn! - salutò Taveggia – Vedi che sono riuscito a portartelo in perfetto orario... Ingegnere, ci presento il brigadiere Cannavò Alfio, responsabile della vigilanza interna; mi deve un cinquantino per aver scommesso che la carriola ci avrebbe piantato per strada... E con questo fa mezzo testone giusto... Uèi, sbirro, ma come devo spiegartelo che col Taveggia ce la fai no?
- D’accordo Taveggia, pure stavolta vincesti la scommessa. - disse Cannavò con accento etneo - Quando staremo in Italia tutto un conto facciamo, parola mia... Ingegner Marchi, baciamo le mani. Mi consegnasse per cortesia le sue carte che ci preparo il “pass”.
Cannavò prese ad armeggiare col marchingegno i badge e dopo qualche istante me ne consegnò una assieme a due talloncini con i codici segreti, uno giallo e uno rosso.
- Fatto, ingegnere, qua ci sta la sua tessera e questi sono i codici personali
- Due?
- Si, il giallo per il portone principale e il rosso per l’accesso alla “sagrestia”.
- C’è anche il servizio religioso qui? - chiesi stupito.
- Ma no, ingegnere, tra amici chiamiamo così la D.T.O.
- La D.T.O.?
- La Direzione Tecnica Operativa. Pochissimi ci possono entrare, sa? Pure io potrei ma solo se la porta sta aperta e se dentro ci sta il professore o il suo assistente. Consegna rigorosissima mi diedero. Lei invece sta tra quelli che possono sempre.
- Capisco.
Cannavò premette un pulsante e un uscio s’aprì sulla parete di sinistra.
- S’accomodasse per di là. - spiegò - In fondo al corridoio ci sta una scala che scende sotto. Vada giù e segua le indicazioni “D.T.O.”; quando ci arriva, se la porta non sta aperta, usi la tessera e faccia il numero sul talloncino rosso. Intanto io avverto che lei scende. Ossequi ingegnere. - disse l’ex gendarme alzandosi e facendo un reverente inchino.
- Arrivederlo ingegnere, - interloquì Taveggia - devo salutarlo perché la bassa forza non può entrare là sotto ma se ha bisogno di qualcosa chiami pure me. Mi sun semper chì
Mentre spingevo la porta socchiusa della sagrestia temevo che, avendo già conosciuto Rigoldi, il previsto colloquio con lui non sarebbe stato affatto semplice e lineare.

Capitolo 5
Il professor Rigoldi aveva il tipico aspetto che la gente immagina abbiano gli studiosi come lui: capelli brizzolati lunghi sulla nuca, fronte spaziosa, sguardo perso nel vuoto, volto ascetico, naso aquilino, occhiali con lenti spesse mezzo pollice; insomma un archètipo fisionomico, se mi si passa la parolona.
Il suo studio consisteva in un vasto ambiente sotterraneo, ben illuminato e ben tenuto anche se - come prevedevo conoscendo l’uomo - vi regnava un guazzabuglio biblico: carte dappertutto, pavimento incluso, lavagne zeppe di simboli misteriosi (anche per me che, tutto sommato, ero del ramo), “monitors” con grafici e diagrammi non meno misteriosi, stampanti che ogni tanto si mettevano a sfornare pagine su pagine con altri segni arcani, una miriade di dischetti sparsi in ogni angolo, al che mi domandai preoccupato se Rigoldi, in quel casino, sapesse orientarsi “qual provetto nocchiere tra procellose scogliere”.
Sulla parete di fondo s’apriva una porta blindata semisocchiusa, quella del “sancta sanctorum”, ipotizzai.
In altro vano - adiacente a quello di Rigoldi e separato da una parete a vetri - regnavano invece ordine e pulizia impeccabili, come impeccabile appariva il giovane biondo che, in camice immacolato, sedeva a una scrivania occupata solo da pochi fogli, da un portalapis con una mezza dozzina di lapis accuratamente affilati e da un computer con cui lo stesso biondo stava operando.
- La stavo aspettando signor... - disse Rigoldi cordiale - Ma come diavolo si chiama lei?
- Ingegner Mar...
- Devo avere il suo nome scritto su un’e-mail della sede centrale. Dove s’è cacciata? Era qui un attimo fa... Dannate scartoffie... Uh... ma... E lei giovanotto da dove salta fuori?... Alfio, sta forse dormendo? - sbraitò Rigoldi all’interfono - Come osa fornire il “pass” agli sconosciuti?... Come dice Alfio? M’aveva preavvisato che l’ingegnere stava arrivando? Non ricordo: con tutte queste procedure di sicurezza non capisco più un’acca... E come si chiama? Ingegner Marchi dice? E che viene a fare? Ah, capisco: è stato mandato dalla centrale con incarichi amministrativi... Come? Abbiamo anche un maledetto settore amministrativo? E come mai non ne sapevo niente?.. Si, si, certo, mi scusi tanto caro Alfio... S’accomodi ingegnere: felicissimo d’averla tra i nostri collaboratori. Peccato che non ricordi il suo nome.
- Marchi, ingegner Ezio Marchi di Lizzate Ticino.
- Devo aver ricevuto un’e-mail che la riguarda ma non riesco a trovarla... Ecco qua, sembrerebbe questa ma chi riesce a leggerla? Porca l’oca, non trovo più gli occhiali da lettura!
- Li ha sulla fronte, professor Rigoldi.
- Sulla fronte? Ah, grazie giovanotto... Dunque ha detto di essere?
- Ingegner Ezio Marchi, professore.
- Marchi... Ezio Marchi... Sa, ingegnere, il suo nome non mi è nuovo e adesso che la guardo bene... Ci siamo già conosciuti, per caso?
- Sono stato suo allievo al Politecnico, aula 7-C, professore.
- Politecnico? Quale Politecnico? Ah, già: il Politecnico, mi pareva d’averci lavorato qualche anno fa... E così io sarei stato suo docente?
- Uno dei più validi, professore.
- Via, Marchi, non faccia il lecchino. Provo ancora rimorso se penso ai pastrocchi che propinavo a voi poveri studenti. Fortunatamente mi sono accorto per tempo che un pasticcione come me non era adatto a insegnare, altrimenti avrei rovinato intere generazioni d’allievi. Peccato, insegnare è il mestiere più bello del mondo... Adesso desidero presentarle l’ingegner... ma come si chiama? Io con i cognomi tedeschi perdo sempre la trebisonda.
Batté quindi alla parete vetrata e fece un cenno al biondo, il quale s’alzò dallo scrittoio ed entrò nello studio di Rigoldi.
- Vuole lei da me qualcosa, signor professore? - disse il nuovo venuto con impercettibile accento tedesco.
- Si ingegnere, volevo presentarle il suo collega ingegner...
- Ezio Marchi.
- Molto felice di sua conoscenza fare, ingegnere. - disse freddamente il biondo - Io Ingenieur Helmut Kramer di Francoforte, primo assistente di professore.
- Ah, Kramer! - intervenne Rigoldi - Si, si, si, quello volevo dire: perdoni la confidenza Kramer, ma trovo i vostri cognomi assolutamente impossibili... E da quando in qua lei sarebbe mio assistente? Possibile che nessuno mi dica mai niente in questo buco d’inferno?
- Da due mesi, professore.
- Dice? Sarà... E adesso Marchi... Lei si chiama Marchi, vero?
- Credo di si.
- Cercherò di ricordarmene. Adesso Marchi, dicevo, sediamo a quel tavolo che le spieghiamo come funziona questa baracca.
Avessi dovuto capire qualcosa dai discorsi che faceva Rigoldi avrei impiegato una vita ma fortunatamente Kramer, con precisione teutonica e perfetta padronanza della nostra lingua, dipanava e sintetizzava i concetti del suo assistito traducendoli in forma comprensibile.
- Bene, - concluse Rigoldi - è tutto mi pare... Scusi l’osservazione Kellner, ma perché continua a interloquire? Lasci spiegare a me. Parlando in due si fa solo confusione... Domande, Marchi?
- Per il momento no, professore. Tuttavia sarei curioso d’uscire per visitare un po’ la zona.
- Non vuole prima visitare gli impianti sotterranei?
- Penso che avrò tutto il tempo per farlo, professore e poi, se non ha nulla in contrario, vorrei farmi una fumatina.
- Fumare all’aperto? Magari fuori fa freddo. Non si preoccupi Marchi: anch’io sono fumatore e qui, ringraziando il cielo, fumo quanto mi pare infischiandomene dei divieti. Klammer... cioè no, Kramer dove è finita la mia scatola di Cohiba? Voglio offrirne uno al suo simpatico collega.
- Lei buttata quando deciso di non più fumare, professore.
- E quando avrei deciso di smetter di fumare?
- Quando lei in Brasovia venuto, professore.
- Dice? L’avevo dimenticato. D’accordo Marchi, per oggi la lascio in libertà... Ingegner Kappler, per favore...
- Kramer, professore.
- E io che avevo detto?... Kramer, per favore accompagni l’ingegner... Ma come accidenti si chiama?
- Marchi, professore
- Ecco, dicevo, accompagni l’ingegner Marconi al settore logistico e veda di farlo sistemare. Quanto a lei, carissimo Marconi, a domani... Ma dove diavolo l’ho già vista?
Kramer salutò Rigoldi con un inchino e mi precedette imboccando un uscio diverso da quello attraverso cui ero entrato. Fuori della “sagrestia” si percorreva un lungo corridoio dall’andamento irregolare, scavato nella viva roccia, sui cui lati s’aprivano numerose diramazioni, parte murate, parte chiuse da porte blindate e contrassegnate da sigle.
- Ma guarda. - osservai - Un vero e proprio bunker. Quel satrapo bolscevico che spadroneggiava su quest’infelice paese ha fatto le cose in grande: si vede che teneva alle penne. Del resto, anche voi tedeschi, mi pare, avete qualche esperienza in materia di bunker sotterranei... ehm. - conclusi beffardo.
- Ja. - replicò gelido il collega.
Comprendendo di aver commesso una gaffe, seppure non del tutto involontaria, sviai il discorso:
- L’ufficio logistico è in questo corridoio?
- Non esiste ufficio logistico.
- Ma allora...
- Herr Rigoldi qualche volta crede essere ancora a Texel, Holland, quando lavorato su studi per “Nieuwe Noordijk”. Qui niente di simile: qui geometra Ciccone pensa anche per alloggi di personale. Eccoci a suo ufficio.

Capitolo 6
Il geometra Ciccone era un giovane allampanato, non brutto ma precocemente ingrigito, con radi capelli e occhiali dalla pesante montatura; indossava un vetusto “Principe di Galles”, stile “Magazzino del Popolo”, più intonato all’Ufficio del Registro che a un nido d’aquila perso tra i monti della Brasovia. Osservandolo con attenzione non poteva tuttavia sfuggire un’ambigua vivacità che traluceva da dietro le lenti.
Però, appena entrato nel suo ufficio, non lo osservai più di tanto: la mia attenzione fu infatti attratta da un paio di “fuseaux” bianchi che fasciavano contenuti alquanto suggestivi.
Dunque all’“Astertron Brasovia” c’erano donne, per di più avvenenti e (auspicai) disponibili, e magari anche più d’una, ri-auspicai. Non so perché ma all’improvviso Laurenti m’apparve in una luce un tantino meno antipatica.
- Carissimo ingegner Kramer, finalmente ci ha portato l’ingegner Marchi. S’accomodi ingegnere, sapevo del suo arrivo. Come le avrà detto l’ingegner Kramer, io sono il geometra Ciccone Aldo; benvenuto tra noi. – m’accolse il funzionario con cordialità affettata.
- Piacere di conoscerla, geometra e... la signora? - risposi, mal celando l’interesse suscitato dal contenuto dei “fuseaux” bianchi.
- Mi chiamo Teresa, Terry per gli amici. - disse la donna scendendo dallo sgabello su cui era salita per riordinare una scaffalatura e porgendomi sorridente la mano.
- La mia signora, se mi consente. - precisò Ciccone.
- Onoratissimo, signora Ciccone. - dissi, stampandole un bacio sulla mano affusolata.
Anche se non di primo pelo, Terry era molto piacente: non alta ma proporzionata, capelli biondi e lisci che sfioravano due spalle ben modellate, bocca accattivante con dentatura volitiva e due grandi, luminosi, occhi verdi dall’espressione tanto intensa da potersi definire quasi febbrile.
«Certe donne,» pensai «pur d’accaparrarsi un marito, s’accontentano del primo che gli capita per le mani. Che cosa troverà uno zuccherino così in quello spaventapasseri rimpannucciato? Tanto più che il ragazzo, a letto, non dev’essere propriamente un ciclone. Mi pare di capirlo da come lei mi guarda... sempre che la prospettiva d’una lunga astinenza non mi dia le traveggole.»
- La mia Terry m’aiuta a sbrigare le pratiche ma non fa parte dell’organico. - spiegò Ciccone – Pensi, ingegner Marchi, ha addirittura abbandonato il suo lavoro per seguirmi. Capirà, siamo sposati da poco... Adesso, mi consenta, provvediamo a lei: Terry, vedi dove puoi sistemare l’ingegner Marchi. - seguitò il geometra.
- Il “Block 4” va bene? - chiese Terry consultando un quaderno.
- Perfetto, amore. - rispose il marito - Sarebbe per due, ma l’occuperà da solo, non essendo al momento previsti altri arrivi; così, ingegnere, starà più comodo.
- È molto vicino al nostro. - precisò la bionda.
- Mi consenta ancora un attimino e ho finito, ingegnere... Cannavò - disse Ciccone all’interfono - è lì Taveggia? Bene, tra poco viene su l’ingegner Marchi; per cortesia Cannavò, dica a Taveggia d’accompagnarlo al “Block 4”... Allora, ingegnere, io avrei finito. Qualche problema?
- Per il momento no, geometra. Grazie infinite e arrivederci, a lei e alla sua graziosa signora.
- Ci si vede dopo. - salutò Terry.
- Io da professore torno, auf wiedersehen collega.
- Arrivederci Kramer e grazie.
Quando fui risalito all’ingresso, Cannavò disse:
- Le chiavi del “block 4” qua stanno... Scusasse ingegnere, tiene un cellulare?
- Si, perché?
- Abbia la cortesia di consegnarmelo, ingegnere, a missione terminata ce lo restituisco.
- Cannavò, non mi dirà che su questa cazzo di montagna il cellulare ce la fa a prendere?
- Sicuro che no, ma gli ordini sono ordini.
- Lo tenga pure quanto vuole Cannavò, anzi, sa cosa le dico? Glielo regalo.
Appena uscii vidi Taveggia che sagrava davanti al cofano aperto del gippone; quando lo chiamai disse:
- Uèi là ingegnere, lo sa che è fortunato? Il “Block 4” è uno dei migliori ed è anche qua vicino. Meglio così, perché questo canchero non vuol saperne di ripartire e gli altri mezzi sono tutti in giro per servizio; in ogni caso tranquillo, ci porto io il bagaglio.
- Vuole scherzare Taveggia? Un po’ a lei, in po’ a me.
- Come che preferisce. Andiamo, ingegnere?
Dal gran bunker si dipartiva una rete di viottoli in terra battuta che collegavano le varie zone dell’area recintata; io e Taveggia ne imboccammo uno che menava a un gruppetto di casupole dall’aspetto squallido e trascurato.
- Il “Savoy” sarebbe quella roba là in fondo? - chiesi.
- Tranquillo ingegnere. Per fuori è uno schifo ma dentro non è poi male e cammini sull’erba, se no s’infanga le “Tod’s”. In ogni caso sempre meglio che dormire sottoterra come i cadaveri.
- C’è gente che dorme dentro quel labirinto per trogloditi? - chiesi stupito.
- Anche io, ingegnere, proprio sotto al bunker 2, vicino alla centrale di ventilazione, il posto più merdoso di tutti. Mi ci hanno scaraventato direttamente dalla sede centrale perché ci ho dato del “faccia di pirla” a quella faccia di pirla del Vismara. Per fortuna la trasferta è buona se no ci avrei già fregato il mitra a Lazar, me lo sarei appoggiato sotto il mento e addio Taveggia!
- Adesso non drammatizziamo Taveggia... Piuttosto, senta in po’, le risulta ci siano anche donne qui?
- Certo che ce n’è ma tutte racchie, eccetto poche, maritate e con tanta puzza al naso che un poveraccio come me neanche lo cagano... Uèi, ingegnere, come mai questa domanda? Lei senz’altro sa che almeno una ce n’è e sa anche benissimo di chi che sto parlando, vero?
- Di una delle poche non racchie... e che tipo è la signora Terry?
- Dai, ingegnere, con l’occhio birbone che si ritrova viene a farmi l’angioletto? Ha capito bene che razza di tipo è la Terry. È proprio il tipo che pensa lei! Però è impossibile farcela, con quel mollusco sempre alle costole. Io, in ogni caso, neanche ci provo perché ho un principio di ferro: mai sul lavoro.
- Sono d’accordo Taveggia: mai sul lavoro.
Aperta la porta della baracca pomposamente battezzata “Block 4” mi rincuorai, non molto, ma mi rincuorai. L’interno era stato sistemato e l’insieme ispirava un senso di sobria ma accogliente funzionalità: due letti a castello, armadi e altre suppellettili, tavolo con sedie, due comode poltrone, fornello, piccolo frigobar e tv con parabola satellitare, il tutto tenuto al calduccio da una grande stufa a kerosene che mandava un impercettibile ronzio.
- E qui - disse Taveggia aprendo un uscio - il locale tualèt, con boiler e “caldobagno” a sua disposizione. Se poi guarda dentro a quel mobiletto là, ci trova un paio di michette col San Daniele; ce le ho rimediate in mensa e nel frigo c’è anche della birra.
- Grazie Taveggia ma, se vuol mangiare lei, s’accomodi. Io ho dimenticato cosa vuol dire appetito. Piuttosto ci sarebbe del vino?
- Se lo scordi ingegnere. All’“Astertron Brasovia” sono proibiti gli alcolici, i capoccia della sede centrale così hanno detto; anche la birra, se guarda bene, è analcolica, roba locale: un’autentica pisciata di mulo, schifa boia!
- Fantastico!
- Posso andare ingegnere?
- Si accomodi... Un momento, non c’è per caso un interfono?
- Il Vismara, col pretesto della sicurezza, sostiene che è meglio non collegare il sotterraneo con l’esterno ma io so che non lo fa installare perché un pioeucc’. Omaggi ingegnere e, ricordi, per ogni cosa mi sun semper chì!
- Arrivederci Taveggia e grazie di nuovo.

Capitolo 7
L’indomani mattina mi recai subito alla D.T.O. dove Kramer mi spiegò l’organizzazione del progetto esecutivo.
In pratica si trattava di questo: il lavoro era stato parcellizzato e il personale suddiviso in piccoli gruppi, ciascuno dei quali attendeva a un determinato settore - e solo a quello - senza conoscere esattamente i compiti assegnati agli altri gruppi.
- Conosco il principio, Kramer: - osservai - ogni gruppo opera senza conoscere la specifica finalità del suo lavoro; quindi, anche se per caso qualcuno comunicasse informazioni a eventuali spie, servirebbero poco o nulla.
- Lei segue bene mia spiegazione Marchi. - disse Kramer - In tutti casi, anche se intero sistema di guida cade in mano a spione, non possibile utilizzare.
- Come mai?
- Mancherebbe processore per controllo di “feedback” tra circuiti digitali e attuatori elettromeccanici: su progetto di processore lavora solo professor Rigoldi in persona, dentro “P.A.M.”
- Cos’è questo ”P.A.M.”? Il supermarket di piazzale Valsesia dove faccio la spesa? - ridacchiai
- Non scherzo Marchi, io parlo di “Project Assembling Mainframe”, macchina per assemblaggio di progetto, dove professore, oltre a progettare processore di “feedback”, inserisce lavori di gruppi quando arrivano e assembla provvisoriamente lavori.
- D’accordo, però il solito spione potrebbe venire a conoscere non solo il progetto del sistema di guida ma anche quello del processore; ammetto che è difficile, tuttavia non si può mai sapere.
- Teoricamente no è difficile Marchi, è oltremodo difficile: directory con progetto di processore tutta dentro P.A.M. assieme a lavori già completati, fuori restano solo note poco importanti... Almeno io spera che così è, perché io fatico a capire con tutta confusione che professore fa.
- E praticamente è difficile?
- Io spera che anche praticamente. - rispose Kramer guardandomi con espressione significativa.
«Il guaio è che lo devo sperare anch’io!» pensai rabbrividendo.
- Inutile dire che solo Rigoldi può aprire le directory inserite nel P.A.M. - seguitai.
- E solo se conosce password.
- Il professore non ha la password? E come fa a aprire le directory quando deve lavorarci? Mica lascerà sempre tutto aperto?
- P.A.M. collegato con computer centrale di Italia: ogni sera presidente di “Astertron” fa sostituire password da computer centrale e ogni mattina invia messaggio con nuova password crittografata secondo regola che solo lui e Rigoldi conosce.
- E se, mettiamo per assurdo, lo stesso presidente fosse uno spione e fosse lui a violare il P.A.M. direttamente dal computer centrale?
- Non può, solo Rigoldi può directory dentro P.A.M. aprire, e solo qui in Brasovia. Non possibile aprire da sede centrale.
- Comprendo perfettamente... E lei?
- Bitte?
- Volevo dire, non si offenda, che lei stesso potrebbe sbirciare Rigoldi mentre lavora con il P.A.M. e farsi una qualche opinione.
- Lei pensa che io possibile spione? Ha tutti diritti però P.A.M. non in ufficio grande ma in stanza blindata, insieme con terminale collegato direttamente a sede centrale; solo professore conosce combinazione di porta e solo lui può entrare in stanza blindata. Lei deve me credere: da questo lato fuga d’informazioni teoricamente impossibile.
- Sempre teoricamente, dice, e temo abbia ragione: infatti stento a capire come un pasticcione del calibro di Rigoldi riesca a non combinare guai in un simile ginepraio.
- Su lavoro con P.A.M. cervello di professore meglio che computer, forse per questo, in cose di tutti giorni e soprattutto in procedure per sicurezza lui sempre testa dentro nuvole o addirittura s’incazza. Comunque io cerco sempre di attento stare.
- Mi auguro che lei non perda la concentrazione Kramer e adesso, se mi spiega dove possiamo rimediarlo, gradirei un buon caffè in sua compagnia.
- Qui sotto abbiamo piccola “cafeteria” in fondo di galleria ovest, poco lontano.
Il locale, modestamente arredato con macchinette distributrici di bevande e snacks, quattro tavoli e una dozzina di sgabelli, era completamente deserto.
Io e il tedesco ci servimmo due espressi e sedemmo a uno dei tavoli.
- Kramer, - chiesi dopo la prima sorsata - perdoni la curiosità ma non è per caso lei l’eminenza grigia di tutta la faccenda?
- Bitte?
- Ho avuto la netta sensazione che, tranne per quanto riguarda il lavoro del professore al P.A.M., sia lei a muovere le fila in questo posto.
- Lei Marchi da a me troppo peso. Qui capo assoluto è Herr Rigoldi; come detto io do a lui solo aiuto perché lui troppo preso da suo lavoro con P.A.M. per pensare a tutto.
- Capisco. Quindi lei non ha idea dei motivi per cui sono stato sbattuto in Brasovia.
- Nein, parola, anche se uno consiglio ho io dato a professore.
- E cioè di farsi mandare almeno un secondo assistente che mettesse ordine negli scartafacci siccome lui non capisce un fico secco.
- Più o meno.
- Bene Kramer, è stato accontentato. Però devo avvisarla: non sono un esperto in materia ma solo un modesto ingegnere che, “faute de mieux”, s’interessa anche d’amministrazione con risultati apprezzabili.
- Io ho impressione che lei elemento troppo valido per nostre esigenze, lavoro non difficile; anzi trovo io strana una cosa... - s’interruppe Kramer fissandomi con sguardo indagatore.
- Vada avanti, la prego.
- Forse quando è lei partito ricevuto anche altre istruzioni?
In quella domanda, apparentemente innocua, mi parve di leggere una curiosità sospetta.
- No, quanto le ho detto corrisponde esattamente alle istruzioni ricevute. - mentii deciso.
«Incartati questo, ficcanaso Kartoffeln!» pensai.
- Gut. Allora lei dovrà andare in sezione “Am-1” a riordinare pratiche, fare catalogazione per tipo, stendere elenchi e aggiornare protocollo. Ogni sera poi preparerà rapporto su attività d’impianto da consegnare a professore per visto.
- E cosa ci fa il professore coi rapporti?
- Spedisce in sede centrale. Lui unico autorizzato e sua linea unica comunicazione con esterno.
«Merda! Proprio come supponevo!» imprecai nel mio intimo.
- Mi sembra un impegno modesto, - dissi - l’unica seccatura sarà quella di andare per i reparti a raccogliere i dati da inserire nei rapporti.
- Non si deve troppo preoccupare Marchi, vado io a fare giro quando raccolgo dati da inserire in P.A.M., e poi nessuno legge verbali, io penso.
«E bravo il crucco! Ha assimilato alla perfezione come funzionano certe cose in Italia.»
- Quindi per verbali può a me senza complimenti rivolgersi. - seguitò il biondo.
- Grazie Kramer. Vuole accompagnarmi all’”Am-1”?
Durante questo scorcio di colloquio sospettai che il mio interlocutore non gradisse colleghi dotati di troppo spirito d’iniziativa ma, ovviamente, tale sospetto non trapelò dalla mia espressione.

Capitolo 8
L’“Am-1” consisteva in un’ampia stanza illuminata a giorno, arredata da numerose scaffalature cariche di raccoglitori e faldoni, da schedari metallici, mobiletti vari per ufficio, una scrivania ed un tavolo da carteggio con due P.C.
- Dunque questa è la mia tana. - osservai - Come le dicevo, non lo ritengo un lavoro difficile ma temo richieda il suo tempo.
- Marchi io devo a lei dire cosa poco gradita.
- Sono tutt’orecchi.
- Se lei non sbriga a mettere ordine in quest’ufficio, lei dovrà qui restare fino a completamento di suo incarico anche se stesura di progetto prima finisce. In sede centrale così vogliono e io sono di stessa opinione
«Ti pigliasse il vermocane!»
- Mi sembra giusto. - sospirai.
- Non si scoraggi Marchi. Se vuole persona che aiuta io posso a lei affiancare persona.
- Le sarei infinitamente grato Kramer e, se posso esprimere la mia preferenza, quel Taveggia mi sembra la persona adatta. Non dev’essere un’aquila ma è senza dubbio attivo e disponibile.
- Nein, per Taveggia altri incarichi, modesti ma indispensabili. Però Marchi lei non deve preoccupare, cerca io persona adatta. - replicò Kramer.
- Benissimo, mi fido di lei... Piuttosto, da dove mi consiglia di cominciare?
- In quell’armadio a destra moltissimi dischetti con progetti vecchi e non riservati.
- Li butto?
- Nein, fino a fine non si può mai sapere. Lei dovrebbe tutti classificare per tipo e archiviare secondo tipo di classificazione.
- Mi ci metto subito.
- Gut, Marchi. Io lei saluta e augura uno buono lavoro.
- Arbeit macht frei!
- Bitte?
- Niente... Ci vediamo Kramer.
Dopo circa mezz’ora un discreto toc-toc all’uscio mi distolse dalle mie incombenze.
- Avanti.
Il nuovo venuto - anzi la nuova venuta- mi costrinse a rivedere il mio giudizio sul crucco in modo analogo a quanto avevo fatto con Laurenti: in fondo Kramer non era poi tanto stronzo; si trattava infatti di Terry.
- È permesso ingegner Marchi?
- Prego Terry, si accomodi.
- Vengo da parte di Helmut; l’ho sentito chiedere ad Aldo di trovargli una persona che potesse darle una mano qualche ora al giorno così mi sono offerta io.
- Ho capito.
Avevo anche capito quanto poco Terry si rendesse conto che il suo “look” fosse poco adatto a quella sede. Ritengo infatti che sotto le vette del Tomorik non capitasse frequentemente d’incontrare una graziosissima bionda in fasciante minigonna bianca, tacchi a spillo e camicetta di seta color smeraldo che esaltava il riflesso di due pupille profonde e vivaci. Fui peraltro felice che la scelta di Kramer fosse caduta su un soggetto tanto interessante per cui cominciai ad sperare che il mio potesse rivelarsi un esilio dorato.
- Mi sembra soddisfatta, Terry. - seguitai - In ogni caso non immagina quanto felice sia io di avere una collaboratrice tanto, ehm, preziosa.
- Grazie ingegnere. Ha detto bene: sono soddisfattissima. Sa ingegnere, Helmut assicura che mi farà assumere a tempo indeterminato, se lei firma qui in calce. - disse Terry porgendomi due fogli.
- Accontentata. - replicai siglando i due fogli.
- Ci contavo. Ecco fatto, una copia per quest’ufficio e una per la sede centrale. Se poi lei... Perdoni la sfacciataggine Ezio, possiamo darci del tu?
- Volevo proportelo io... Dicevi?
- Se poi tu trascrivi sul rapportino di oggi la proposta di mio inserimento nell’organico, nonché il tuo benestare, l’assunzione sarà esecutiva con effetto immediato.
- Per te questo... e altro, Terry.
- Altro? Vuoi chiarire, capo? - chiese ammiccante la mia nuova, piacente, segretaria protendendosi attraverso la mia scrivania e poggiando gli avambracci su di essa.
La posizione assunta da Terry mi diede agio di sbirciare dentro lo scollo della camicia e di rilevare un merletto color verde acqua che ricopriva due attributi non grossolanamente voluminosi ma fiorenti e ben strutturati.
- Ma guarda! - rilevò Terry maliziosa - Una scenetta veramente mai vista: il capo che s’interessa al “look” intimo della nuova collaboratrice, di un’originalità... Sai Ezio, io stravedo per l’intimo sciccoso, al mio block ne ho due valige stracolme.
- Immagino piaccia a tuo marito.
- Ma io mica lo metto per lui, sapessi quanto me ne sbatto di quel sacco di paglia. No, mi piace perché mi fa sentire... Non so come spiegarmi.
- Ti spieghi perfettamente Terry.
- Ho anche slip e giarrettiere coordinati col reggiseno, vuoi vedere la sciccheria? - disse Terry rimettendosi diritta davanti alla scrivania e cominciando a tirar su la minigonna.
Sebbene confuso dall’intenso aroma di mughetto emanato da Terry, un certo fiuto - che ritengo mia prerogativa - avvertì in quel tentativo di seduzione un inspiegabile, quanto deciso, puzzo d’intrigo.
- Ti credo sulla parola Terry, - dissi sostenuto - ma adesso dobbiamo lavorare. Più avanti, se sarai dello stesso avviso, potremo tornare sul discorso.
- Non sai che “ogni lasciato è perso”?
- Non sempre.
- A quanto pare sei molto sicuro di te, capo. - ribatté Terry leggermente indispettita.
Nonostante i miei indefinibili sospetti non mi garbava affatto precludermi una possibilità di rendere il mio soggiorno meno deprimente, quindi replicai:
- Discretamente. Quello di cui non sono sicuro è la porta dell’ufficio: manca la chiave per chiuderci dentro.
- Oh, cielo! Hai ragione Ezio, sono una sventata. Ma, allora, non fosse per via della chiave...
- Lasciami il tempo di riflettere, dolcezza. Intanto vedrò d’informarmi se Alfio ne possiede una copia. E adesso mettiti al computer e comincia: “Tavola WZ-OIL/23j51-modifica 7-ter, corpo valvola principale di ritenzione per circuito fluodinamico IM12...”
Verso le tredici e quaranta chiesi:
- Non avresti fame Terry? Io si, sono digiuno da ieri mattina.
- Allora andiamo in mensa. Il vitto è l’unica cosa decente qui.
- Non so ancora dove si trovi.
- Sotto il bunker 3; ti ci accompagno io anche se la prospettiva d’incontrare il consorte non m’entusiasma.
- Grande amore il vostro, oserei dire.
- Lascia stare. Forse un giorno ti racconterò qualche episodio indicativo del nostro ménage.
- Eppure il tuo Aldo sembra un tipo tanto ammodino.
- Te lo ripeto Ezio: lasciamo stare.
Alla mensa, oltre ad alcuni dipendenti che non mi filarono per nulla e che ricambiai con pari attenzione, c’era, “lupus in fabula”, il geometra Ciccone il quale accolse il nostro ingresso squadernando i denti mezzi guasti in un sorriso di circostanza e lasciando a metà il brodino che andava succhiando rumorosamente.
- E allora ingegnere? - chiese - Come va la mia Terry?
- A meraviglia, caro Ciccone: una segretaria davvero efficiente. Abbiamo già catalogato sei faldoni strapieni.
- Troppo buono ingegnere. Piuttosto devo confessarle una cosa... - ridacchiò Ciccone con una strizzatina d’occhio.
- Sono tutt’orecchi geometra.
- Se me lo consente, sarei un po’ geloso.
- E il motivo?
- Lei è un bell’uomo, Terry, sempre se me lo consente, una bella donna, lavorate gomito a gomito...
- Ciccone, può dormire tra due guanciali. In primis ho una ragazza in Italia, una certa Linda che ha promesso d’aspettarmi e io, di fronte a una promessa del genere, mi sento impegnato a restarle fedele. In secundis ho un ferreo principio: mai sul lavoro. Le basta?
- Penso di si ingegnere. Voglia scusarmi ma... sa com’è...
- Scuse accettate Ciccone e adesso brindiamo con una delle schifezze che passa il convento.
Dopo un buon pasto mestamente annaffiato da birra analcolica locale e una conversazione infarcita di banalità come quelle sopra riportate, durante la quale Terry fece scena pressoché muta, la giovane chiese:
- Ingegnere, potrei andarmene un po’ all’aperto prima di riprendere? Sono tutta accaldata.
- Ma le pare Terry, faccia con comodo.
- Tesoro, prenderai un malanno, deve fare un freddo cane. - intervenne il marito.
- Non sono mica scema, micetto, prima passo a prendere il visoncino che ho lasciato al calduccio sul tuo aerotermo.
- Ciao tesoro, ci vediamo stasera! Ingegnere i miei ossequi.
Dopo alcuni minuti, mentre stavo sistemando il “Dispositivo di non-ritorno QL-M345-modifica 4-bis”, Terry rientrò con la pelliccia coperta da faville di neve.
- Brrr! Fuori nevica e si gela. Meglio lavorare che affrontare una simile tormenta. - disse Terry.
- Lavorare, sempre lavorare... Perché non vai a prendere un paio di caffè?
- Ci stavo pensando, capo. Vado e torno.
Mentre sorbiva il suo espresso, Terry chiese:
- Così tu avresti una ragazza?
- Diciamo un’affettuosa amicizia.
- Te la scopi?
- Non hai peli sulla lingua, vedo... Comunque no, non ne ho avuto il tempo: l’ho conosciuta poco prima di partire.
- Ma và! E una così la consideri tua ragazza?
- Perdona la franchezza Terry, comincio a pensare che tu abbia in mente solo “quello”. Hai mai sentito parlare di “coup-de-foudre”? Sono cotto di lei, lo giuro, e lei lo è di me e, per quanto mi riguarda, tanto basta a far passare in secondo piano i risvolti sessuali.
- Ne sei proprio convinto?
- Al momento sì, credo.
- Al momento. Però non puoi esser certo della sua fedeltà futura.
- Certo che no, tuttavia...
- E nemmeno della tua, forse.
- Forse.
La luce negli occhi di Terry si fece sempre più febbrile...
- Non capisco: un uomo con lo stile da playboy che crede alle favole romantiche.
- Hai ragione: in fondo sono un romanticone, Terry, comunque...
L’aroma di mughetto si fece sempre più inebriante...
- Comunque?
- Non hai torto. Linda potrebbe cornificarmi quando vuole senza che io ne sappia un tubo e quindi...
- Meno male, cominci a ragionare... E sei poi sicuro che “sul lavoro mai”?
La voce di Terry si fece sempre più profonda e insinuante...
- Dipende...
- Cucù! - disse Terry tirando fuori una chiave dal reggiseno - Guarda cosa ho trovato da Alfio.
- Oh, ma... Non hai paura che Alfio sospetti?
- Alfio è siciliano e quando occorre sa essere muto come una tomba... Allora, non vuoi proprio vedere cosa c’è sotto? - disse Terry cominciando a sbottonare la camicetta molto lentamente.
Il corpo armonioso di Terry si fece sempre più tentatore...
- No.
- Qualche problema? - chiese sconcertata la giovane.
- Voglio vedere cosa c’è sotto il “sotto”... Vado a chiudere la porta.

Capitolo 9
- “Disegno 322/MPP606-sostituito da MPP607, micropompa pressurizzata posizione 2020”... e con questo abbiamo completato il file HM-56. - annunciò Terry - Adesso possiamo farci un altro “break”.
- Ancora uno? Diciamocelo Terry: tra pompe, valvolame, circuiti oleodinamici e mercanzia varia ne abbiamo già fatti parecchi. Considerato poi che lavorare con addosso solo boxer e pedalini mi mette a disagio, penso possa bastare; dopo tutta mica sono Superman!
- Animo, Casanova! - disse Terry - Tanto voi uomini, in certe partite, non potete barare e si vede benissimo che hai ancora qualche freccia al tuo arco.
- Chissà dove posso procurami dei boxer meno anatomici?
- Ancora una volta e poi basta, parola mia.
- Ti credo Terry ma rimane sempre un problema: se qualcuno bussa alla porta e noi andiamo ad aprire in queste condizioni, non pensi che potrebbe sospettare qualcosa?
- Qui a nessuno interessano le tue pratiche. Potevo anche fare a meno di domandare la chiave ad Alfio, l’ho fatto solo per tranquillizzarti.
- Quand’è così... - conclusi accingendomi a riprendere la disfida.
Quando ci fummo rivestiti dissi:
- Adesso, per finire, ci sarebbe da compilare il rapportino giornaliero ma non ho la più pallida idea di cosa scriverci.
- Intanto la proposta per la mia assunzione; quanto al resto Helmut può esserti di valido aiuto.
- Ah, già, dimenticavo. Hai il numero del suo ufficio?
- Lascia stare, penso io a tutto. - disse Terry mettendosi all’interfono e prendendo un notes - Pronto Helmut, l’ingegner Marchi vuole sapere cosa scrivere sul rapporto... Ahà, e poi?... Ahà. Tutto qui?... No? Anche queste scemenze? D’accordo Helmut, grazie infinite. Auf wiedersehen!
Dopo alcuni minuti alla tastiera, Terry mi porse un foglio stampato dicendo:
- Sua signoria è servita. Portalo dal vecchio, fallo firmare e bada che lo spedisca subito in sede. Altri ordini?
- No grazie Terry, puoi andare.
- Così? Su due piedi?
- Terry, hai dato la tua parola.
- Ma cosa capisci, Casanova? Volevo solo il bacio della buonanotte.
Dopo aver aperto con il “pass” l’uscio della sagrestia, bussai alla porta di Rigoldi.
- Chi è?
- Marchi, professor Rigoldi.
- Marchi? E chi sarebbe ‘sto Marchi?... Ah, si accomodi caro Marchi; quali novità mi porta?
- Sono qui per il rapporto giornaliero, professore.
- Quale rapporto? Ah, adesso rammento, l’ultima novità dei capoccioni... Ma non ha niente di meglio da fare lei?
- Compilare il rapporto rientra nelle mie mansioni, professore.
- E io che c’entro?
- Deve vistarlo e spedirlo in sede via fax.
- Accidenti! Quei cataplasmi di viale Cadorna...
- Corso Diaz, professore.
- Ma si, Diaz, Cadorna, che me ne frega?... Cosa stavo dicendo?
- Stava parlando di cataplasmi, professore.
- Appunto, dicevo: quei cataplasmi di viale Cadorna giudicano il nostro lavoro non in base ai risultati ma ai quintali di carta che siamo in grado di sprecare. E poi parlano di salvare le foreste... Lo sa Marchi che io ho lavorato anche sul progetto “Green Rescue” a Manaus, per il salvataggio della foresta amazzonica? Miliardi buttati, altroché!... Dia qua.
Rigoldi tracciò uno scarabocchio in calce al rapporto e andò verso la taglierina.
- Si fermi professore, non deve distruggerlo, deve spedirlo in sede via fax!
- Via fax dice? E come diavolo funziona quel maledetto ordigno... Gromeck, Gromeeeck! Subito da me! - strillò Rigoldi percuotendo la parete vetrata che separava il suo studio da quello di Helmut.
- Kramer, signor professore. Lei qualcosa da me desidera, professore?
- Mi faccia una cortesia Gromeck, spedisca questa porcheria alla sede. Io con quel fax della malora perdo sempre la tramontana.
- Ma... signor professore... - disse Kramer confuso.
- Rifiuta d’eseguire un mio ordine? Lei? Un tedesco?
- No, ma...
- E allora non discuta e lo faccia! Subito!
- Ma professore, io non autorizzato a entrare in camera blindata.
- Kroll, con le sue procedure da paranoico lei mi sta facendo impazzire. Dimentica forse che l’ho lasciata entrare nella camera blindata almeno mille volte e lei non ha mai fatto una grinza?
- Signor professore, lei fa confusione.
- Ohibò Krainer! Come si permette? Spedisca immediatamente quello stramaledetto fax o la faccio destituire, anzi la caccio io, seduta stante! E lei Marchini prenda nota: nel prossimo rapporto scriva che io non ne posso più delle loro manie sulla sicurezza. O mi liberano dagli impiastri, o pianto tutto in asso! Sono stato chiaro?
- Chiarissimo, professore. Posso andare?
- Ma certo, caro Marchelle.
Mentre mi congedavo non potei fare a meno di notare l’espressione dipintasi sul volto usualmente imperturbabile di Kramer: era un’espressione d’angoscioso imbarazzo circa il significato della quale cominciai a interrogarmi - non senza un indefinibile sentimento di beffarda malignità - nei confronti del primo assistente.

Capitolo 10
S’era fatto tardi e in mensa erano rimasti solo pochi avventori; uno solo, tra questi, mi rivolse un cenno di saluto: si trattava d’un uomo di mezza età, d’aspetto distinto quantunque dimesso, e dall’espressione bonaria.
- Posso sedere al suo tavolo, collega? - chiesi reggendo il vassoio con scaloppe al limone, “frites” surgelate, ananas “Dole” e bottiglina di “Perrier”.
- S’accomodi caro...
- Marchi, ingegner Ezio Marchi, e io con chi ho l’onore?
- Dottor Pirovano, Dante Pirovano: sono il medico e lei è l’ultimo arrivato, credo.
- Si dottore, per servirla... E così in questo buco esiste anche un servizio sanitario?
- Con relativa infermeria, al “block 13”.
- Non lo sapevo; del resto conosco ben poco della struttura: mi hanno messo sotto pressione appena arrivato. - ribattei, senza specificare d’esser stato messo sotto pressione non tanto dal lavoro, quanto da cause ben più seducenti - E quanti pazienti ha al momento?
- Nessuno.
- Sul serio? Non ci posso credere.
- Eh si, dal punto di vista professionale è un disastro: l’aria del Tomorik dev’essere molto salubre; oltre a laringiti e raffreddori c’è ben poco da curare e quanto a malattie professionali solo lievi oftalmopatie da monitor.
- Meglio così, allora.
- Ah certo e ne sono felice, mi creda: non ci tengo a imitare quei colleghi nel cui ambulatorio uno entra sano ed esce con un piede nella fossa. Tuttavia è una gran noia doversene stare in infermeria tutto solo o in compagnia di Taveggia a sistemare e risistemare gli armadietti dei farmaci o, peggio, a giocare a scacchi con una schiappa come lui. Un autentico strazio per chi ha vinto tre volte i campionati intercliniche.
- Taveggia ha detto? E giocate a scacchi assieme?
- Immaginavo che l’avesse già conosciuto... Certamente Marchi: come non avesse altro da fare, quel bravo ragazzo s’è offerto per farmi da infermiere nelle ore libere, qualche volta perfino di notte. Insiste sempre perché gl’insegni il gioco: di stoffa ne ha poca, tuttavia non riesco a liberarmene. Si figuri la noia.
- Non si lamenti dottore, pensi piuttosto che la presenza d’un medico è una sicurezza e un conforto per tutti noi.
- Forse lei m’attribuisce troppa importanza ma in effetti credo proprio che, anche potessi allontanarmi quando mi pare e piace, resterei ugualmente qui.
Durante il colloquio avvertii un discreto sentore di cognac e notai che il medico s’inceppava di quando in quando nel parlare.
«E bravo!» pensai «T’annoi tanto da dar fondo alle scorte di cognac per uso terapeutico. Penso mi convenga esserti amico, esimio cerusico.»
- Come mai dice: “Se potessi allontanarmi quando mi pare e piace”? Non si può? - chiesi.
- Marchi, ha letto bene quel che ha firmato prima di venire qua?
- Dovrei aver firmato qualcosa?... Ma certo che ho firmato qualcosa, perbacco!
Me n’ero completamente scordato ma, il giorno avanti, il funzionario dell’“Astertron” che m’accompagnava sul velivolo della ditta, m’aveva fornito ulteriori ragguagli circa la missione concludendo rassicurante:
- Per regolarizzare la sua posizione, ingegnere, ci sarebbe ancora una formalità.
Completamente annichilito dal dolore e dalla depressione, avevo trascurato le insidie nascoste nelle “piccole formalità” e siglato distrattamente il foglio presentatomi dal funzionario, tanto distrattamente da non richiederne manco una copia.
- E che cosa ho firmato? - aggiunsi ansioso.
- Lasci stare Marchi, si trattava di atto dovuto.
- D’accordo, ma almeno sapere...
- Non desidero guastarle la digestione, amico, anche perché le patate fritte a cena sono pesanti. In ogni modo s’informi, caro Marchi, s’informi. E sù con la vita.
Più tardi, mentre guardavo la tivù mordicchiando nervosamente la pipa, Taveggia bussò al mio alloggio.
- Buonasera Taveggia, come mai da queste parti?
- Ci ho portato il kerosene per la stufa, tira un vento della madonna e ce ne avrà di bisogno. Anzi è meglio che ci riempia subito il serbatoio fino all’orlo, altrimenti stanotte finisce assiderato. - rispose il ragazzo depositando due taniche in un angolo e svuotando una terza nel serbatoio della stufa.
Quando ebbe finito chiesi:
- Taveggia, avrebbe un attimo per me?
- Ma certo, con lei ho terminato il giro.
- Allora s’accomodi... Una birretta?
- Per carità ingegnere... Ci aveva qualcosa da dirmi?
- Ecco, vorrei sapere se è tanto difficile allontanarsi dal campo, nelle ore libere, intendo?
- Per difficile mica è difficile, basta che passi l’ispezione normale e, se capita, quella personale.
- L’ispezione? Quale ispezione?
- Ingegnere, non ha per caso firmato una carta prima di venire qua?
- E due! Stasera lei è il secondo a chiedermelo... Si, l’ho firmata ma non l’ho nemmeno letta.
- Male, altrimenti saprebbe d’aver concesso alla ditta il diritto di sottoporla a ispezione ogni volta che va difuori.
- E di che si tratta?
- Ci spiego. Prima di passare la sbarra lei entra al corpo di guardia e si spoglia nudo, poi Lazar controlla tutti gli indumenti e, prima di ridarceli, ci fa schiacciare un pulsante: se si accende il verde morta là, e questa è l’ispezione normale. Se invece si accende il rosso, scatta l’ispezione personale: Lazar si mette un guanto di gomma, le chiede gentilmente di piegarsi a novanta gradi e...
- No! Come quando uno entra in gattabuia.
- Con la differenza che Lazar te lo fa quando esci. Ma non è mica niente di grave, creda. A me è capitato un mucchio di volte e posso assicurarci che quel bisonte ha una manina di velluto. Pensi, devo farlo anche io che esco soprattutto per servizio.
- Accidenti!... E con le donne Lazar come si regola?
- Per le donne bisognerebbe far venire su da Birat un’ausiliaria della polizia locale però, siccome che quella ha sempre altro da fare, Lazar chiude un occhio perché, pare impossibile, è un signore e non se ne approfitta; e poi qua le donne sono quasi tutte sposate e non hanno troppi motivi per uscire.
- Merda! Bloccato in questo buco fino alle calende greche!
- Tranquillo ingegnere... Ma poi cosa crede di trovare là fuori? Il centro più vicino è Birat, quattro catapecchie da far vomitare, tre bar pieni di balordi pronti a fregarci il portafogli e una dozzina di puttanone che se la fanno con gli italiani del cantiere “Tomorik Contractors Holding”, quello gestito da una ditta di Lecco che ci ho lavorato anch’io in Turchia prima di venire all’“Astertron”.
- E come sono le signorine?
- Meglio farsi frate di clausura, non so se mi spiego... Uèi ingegnere, qualche problema?
- Ma no, così, tanto per sapere.
- Ci credo che non ha problemi, con quel bocconcino a sculettarci su e giù per l’ufficio.
- Come sa che Terry è stata assegnata all’“Am-1”?
- El Taveggia sa semper tücc’, anche quello che non deve sapere, soprattutto quando c’è di mezzo la Terry.
- Però il Taveggia dimentica che, per il Marchi come per lui...
- “Mai sul lavoro”. Più che giusto... Vuole dei video porno ingegnere?
- E perché?
- Sa com’è: noi maschietti, in caso di penuria... E per certe cose quei video, è proprio il caso di dirlo, danno una mano... Buona, no? Ah, ah! Ce ne ho per lei uno che...
- Taveggia, la smetta o m’incazzo di brutto!
- Come non detto, ingegnere. Adesso, se non ci dispiace, ci avrei un po’ di sonno.
- Sogni d’oro Taveggia. Ma quella birra proprio non la vuole?
- Ingegnere, se lei non fosse un superiore sa cosa ci risponderei?
- No.
- Vadi a dar via i ciapp’, lei e quella pisciata!
Dopo il congedo di Taveggia tentai, senza riuscirvi, di prender sonno: m’angustiava l’idea d’essere praticamente prigioniero su quel pianoro dimenticato da Dio e dagli uomini, eccetto quelli della “Astertron”. Anche se di fuori le attrattive erano nulle, sentivo la cosa come un’intollerabile coercizione al mio senso d’indipendenza.
«Vediamo un po’ se ci sono varchi nella rete.» pensai prendendo il mio «Zeiss» dalla valigia.
Peggio che a Dachau: non solo la recinzione era un inestricabile groviglio di reticolati ma era anche illuminata a giorno da potenti lampade piazzate ogni venti metri. E non bastava: puntando il binocolo sul posto di guardia, di lì a poco vidi uscire un drappello d’uomini armati fino ai denti in compagnia d’un mastino grande come un toro.
«Porc...! Anche ammesso che quel Rambo non dia ai suoi sgherri l’ordine di sparare a vista, ci pensa il chihuahua a ridurti un hamburger. Niente da fare, sono proprio in un lager! Domattina vado a visitare le camere a gas... Oh, ma... a proposito di lager, che ci fa qua fuori il crucco a quest’ora?» mi domandai vedendo un biondo tutto infagottato sgattaiolare verso una vicina baracca.
Colto da improvvisa curiosità, mi rivestii in tutta fretta e procedetti verso la stessa costruzione dove Kramer (avrei giurato fosse lui) era entrato. Si trattava del “block 6”, una baracca poco più grande della mia.
La stessa curiosità - giacché non era possibile vedere attraverso le persiane chiuse - m’indusse ad accostare l’orecchio alla parete. Udii musichette, risatine femminili e altri suoni che rivelavano un’animata festicciola. Tuttavia, sebbene riconoscessi le voci, non riuscii a cogliere manco una parola.
«Ehilà, qua la gente fa bisboccia e nessuno m’invita! Senti che roba: viene da pensare che dentro la bicocca si svolga un “menàge à trois” in piena regola. Ma bravo Helmut, e brava Terry, e bravo geometra! Scommetterei che lei sta a guardare sua moglie mentre fa certi lavoretti con Kartoffeln: mi sembra proprio il tipo, egregio geometra... Brrr, senti il freddo! Meglio rientrare; domani vedrò di saperne di più.
Coricandomi ancor tremante per il freddo pensavo:
«A ogni modo basta che Terry lo faccia con me poi può farsi Helmut e magari anche tutto il corpo di guardia, mastino incluso nel prezzo!»
Combinazione volle che l’indomani mattina incontrassi nuovamente Taveggia che, all’esterno del bunker principale, tentava di far partire un camion.
- Caro Taveggia, ancora lei e sempre alle prese con i motori, vedo.
- Buona giornata ingegnere, speravo proprio di vederlo prima di muovermi con ‘sto canchero.
- Come mai?
- Volevo scusarmi se ieri sera mi sono preso delle confidenze.
- Si figuri Taveggia, anzi mi ha divertito. Eh, se non ci tiriamo un po’ su il morale tra noi, è dura.
- Parole sante, ingegnere.
- Del resto non siamo i soli a tenerci su di morale... Senta, Taveggia, i Ciccone abitano per caso al “Block 6”?
- Lo sapeva mica? - chiese il giovane.
- Lo sospettavo, volevo solo una conferma.
- Sospetto confermato. Ci stanno proprio la sua segretaria “Mai-sul-lavoro” e quel limagùn di marito.
- Ah... E le risulta che quei due siano in amicizia con Kramer?
- Non ce lo saprei dire.
- Via Taveggia, lei sa sempre tutto.
- Ingegnere, non mi prenda alla lettera: qualche volta sparo pirlate, tanto per parlare... Vacca boia, dai che va! - esclamò il giovane riuscendo finalmente ad avviare il diesel e a massacrarlo con potenti accelerate - A dopo ingegnere, se trovo qualche giornale ce lo porto. Gradisce “Penthouse”? Ne ha una carriolata un mio amico che lavora giù al cantiere.
- A dopo Taveggia, e vadi a dar via el cü!

Capitolo 11
Venne domenica e, come ogni domenica alle cinque, fu organizzato un trattenimento in un padiglione vicino ai “blocks”. Quando entrai l’aria era da festino parrocchiale: un vecchio juke-box, una cinquantina di sedie, bibite analcoliche e rinfreschi stantii su un tavolone, atmosfera carica di noia tra i pochi presenti. Alcune coppie ballavano con l’aria tediata tipica dei vecchi coniugi quando ballano assieme, altri intervenuti giocavano a carte con aria non meno tediata. Solo Terry, allacciata al consorte e ancheggiante nei suoi “fuseaux” in lamé color pervinca al ritmo d’un languido “slow”, salvava l’ambiente; tuttavia, siccome ignorava ostentatamente la mia presenza, immaginai i motivi del suo atteggiamento e dovetti ricambiarla con pari moneta.
- Aria da salone delle feste al Casinò di Montecarlo, caro dottore. - dissi quando vidi Pirovano che, su una poltroncina in disparte, fumava un mezzo toscano.
- Caro Marchi, che piacere! Apprezzo la sua ironia tuttavia per me è sempre meglio che restare in infermeria per insegnare i segreti della scacchiera a quello zuccone.
- Io invece preferisco tornare nel mio block a guardare le trasmissioni sportive dall’Italia.
- Aspetti un attimo Marchi: tra poco c’è il “clou”.
- Credevo ci fosse già. - dissi alludendo a Terry.
- Gran bella donna la signora Ciccone... Eeeh, non mi parli di donne, Marchi!... No, alludevo al discorso del professor Rigoldi.
- Quale discorso?
- Ogni domenica Rigoldi tiene una breve allocuzione sull’andamento dei lavori e...
- Immagino cosa vuole dire: meglio d’un film con Stanlio e Ollio,
- Questo l’ha detto lei Marchi. Io non ho detto niente, però la consiglio d’aspettare.
- Intesi, allora rimango per riguardo al professore.
Infatti, dopo alcuni minuti, Rigoldi, seguito da Kramer, fece il suo ingresso nella baracca, salì su una pedana in fondo al padiglione e prese in mano un microfono.
- Cari colleghi... Mi sentite?... Maledizione, Gruber!
- Kramer professore. Vuole lei qualcosa?
- Quest’accidente non funziona mai!
- Provi con pulsante su microfono, professore.
- Questo?... Ecco fatto. Uno, due, tre, prova microfono... Adesso va... Dicevo: cari colleghi... perché io vi considero tali e considero me stesso solo il... come si dice Gruber?
- “Primus inter pares”, professore.
- Beato lei che, da buon tedesco, sa il latino meglio di noi italiani. Io, povero ignorante, ho fatto solo le tecniche... Dov’ero rimasto?
- Lei stava salutando colleghi, professore.
- Allora cari colleghi, come dicevo, anche questa domenica ci ritroviamo in questa bella sala per ritrovarci tutti assieme... Ma come mai siete così pochi?
- C’è Juve-Milan via satellite, professore. - spiegò uno dei presenti.
- E con questo? Maledetto calcio, lo detesto! Cosa ci troverà la gente in ventidue esaltati in mutande, che tirano calci al pallone dentro un acquitrino... Dicevo?
- Chiedeva come mai così pochi, professore.
- Grazie Wührer... Io penso che dovreste abituarvi a socializzare di più, altrimenti qua diventa un mortorio.
- Lo è già professore. - disse una voce dal fondo.
- D’accordo, l’organizzazione del lavoro non agevola i rapporti inter... come diavolo è quella parolaccia? Adesso ricordo: i rapporti interpersonali però voi dovreste approfittare di queste belle occasioni per conoscervi meglio. Lei, per esempio, vuol dirmi come si chiama e dove lavora?
- Perito chimico Scaccabarozzi, settore combustione, professore.
- Ecco, Scarotti, scommetto che lei manco conosce il signore che le sta vicino... quel signore con quella bella barba...
- Ingegner Malatesta, settore combustione, e dormo con il perito Scaccabarozzi al “Block 11”, professore.
- Ecco Malacrida, come volevasi dimostrare non vi conoscete affatto... Animo, animo signori, un po’ d’allegria, un po’ di spirito di corpo, che diamine!... E adesso cosa tocca Mittner?
- Relazione settimanale su avanzamento lavori, professore.
- Me la riassuma in breve, per cortesia.
- Io breve riassunto già fatto, professore - disse Kramer porgendo un foglietto a Rigoldi.
- Sempre scartoffie... Allora, cari colleghi, vedo qui che le cose filano a tutto vapore, siamo nei tempi... Ahi! Devo dare una tiratina d’orecchi a quelli del reparto... cos’ha scritto qui Brenner?
- Peristabilizzatori isostatici, professore.
- C’è qui qualcuno di questo reparto?
- Io professore, ingegner Vezzari, ma posso spiegarle...
- Non sprechi il fiato, caro ingegner Cazzari, in fondo avete solo due giorni di ritardo e conto li recuperiate al più presto... A cos’ha detto di lavorare Mazzari? Perista... Puah, sembra roba riguardante l’intestino! E adesso vi lascio alla vostra bella festa... Accidenti Linder, possibile che io debba subire questa tortura ogni domenica? Arrivederci, colleghi e via con le danze!
E così fu per le molte, interminabili, domeniche che seguirono, durante le quali, visti i miei incarichi non ufficiali, mi consideravo moralmente impegnato ad ascoltare i demenziali sproloqui di Rigoldi.
In questo periodo non avvenne nulla che attirasse la mia attenzione: tutto filava liscio come l’olio e l’unico diversivo a tanto tedio erano gli appassionanti intermezzi con Terry. Anche questi, in ogni caso, entrarono a far parte del vivere quotidiano e il loro ritmo si diradò - ma non troppo – con il procedere dei mesi.
Un giorno, alla fine d’uno di tali intermezzi, Terry, rimettendosi al computer, osservò:
- Sai Ezio che siamo a buon punto?
- Hai fissato un obbiettivo? No, perché finora ne ho contate centoottantaquattro. A te corrisponde?
- Scemo, una volta tanto mi riferivo al lavoro.
- Hai ragione Terry, siamo già alle bolle degli articoli sanitari. Ecco il faldone. Vediamo... Perbacco!
- Che cosa succede?
- Guarda qui: bolla Med/b-3423 “Sei casse di brandy medicinal” in tre mesi! Va bene, spesso fa freddo ma non mi risultano casi di congelamento, anche perché lavoriamo al caldo quasi tutti e non vedo come...
- Ezio, - disse Terry fattasi improvvisamente seria - ho imparato a conoscerti e apprezzarti, so che sei un uomo deciso ma comprensivo e non rovineresti mai chi non lo merita anche se, in base ai regolamenti, ha sgarrato...
- Pirovano?
- Proprio lui.
- Peccato, una così degna persona... Però qualcosa avevo subodorato, nel senso letterale del termine. Ma non vedo come posso sistemare questa faccenda: se fingo d’ignorarla, in sede di rendiconto finale qualcuno potrebbe accorgersene e chiedermene ragione.
- Se tu m’autorizzi, trovo io il sistema per far svanire il brandy nel nulla. Hai notato come so manipolare il computer?
- L’ho notato tesoro e t’autorizzerei volentieri ma altri potrebbero conoscere la faccenda del brandy.
- Se nessuno ha fiatato sinora non fiaterà neanche in futuro: del resto tutti sono affezionati a Pirovano.
- Non c’è dubbio Terry; per questo prometto che, se mi trovi un valido motivo per concederti quell’autorizzazione, ci sto.
- Dunque, devi sapere che il dottor Pirovano era primario d’una clinica universitaria, un chirurgo tra i più stimati della città e un luminare della cardiologia...
- Alt, immagino già il seguito: il nostro uomo conosce una ragazza di trent’anni più giovane la quale si rivela...
- Una grandissima porcona. - precisò Terry
- Ecco, appunto dicevo: una grandissima porcona.
- Ezio, non fare quella faccia! So benissimo cosa stai pensando! Stai pensando: “Senti da che pulpito...”
- Quanto sei ingiusta, Terry... Dunque ero rimasto? Ah si: Pirovano conosce una grandissima porcona di trent’anni più giovane, perde la testa e si tuffa in un mare di guai. Morale della favola: comincia a bere e il mare diventa un oceano nel quale affonda inesorabilmente per poi tentar di riemergere aggrappandosi a questo scoglio perso nel cuore della Brasovia.
- Hai una notevole capacità di sintesi e di metafora, amore. Allora, che cosa decidi?
- Se ci riesci per me puoi far svanire tutto il brandy del mondo.
Terry si mise alla tastiera e dopo cinque minuti annunciò:
- Tutto O.K. capo. E adesso sfido chiunque a capire qualcosa di questo file.
- Cos’hai combinato?
- Ho solo provato un piccolo virus inventato da me. Pare funzioni.
- E se poi alla sede centrale sospettano inghippi?
- Ezio, stai assumendo la mentalità del burosauro. Pensi davvero che in centrale qualcuno si preoccupi per un po’ di brandy?



Capitolo 12
Altri mesi erano passati e la fine di maggio s’avvicinava: la primavera avanzata, l’aria fattasi tepida e frizzante, i fiori che ingentilivano i magri pascoli del Tomorik rendevano più accettabile la monotona vita del campo, tanto più che vi si stava diffondendo una simpatica atmosfera da fine anno scolastico.
L’ultima domenica di maggio il professor Rigoldi diede il tanto atteso annunzio: il progetto dei sistemi di guida “Eurocruiser” era pressoché completato, tutte le componenti erano state caricate nel P.A.M. e mancavano solo poche ore di semplice assemblaggio digitale. Dopodiché il tutto sarebbe stato pronto per il “copyright”, requisito inderogabile ai fini dell’accettazione da parte del comitato “Eurocruiser”.
- E con questo ho finito, miei eroici colleghi; non ho parole per ringraziarvi ma spero vi basti l’emozione che potete sentire nella mia voce... Ah, dimenticavo, vorrei concludere queste mie modeste frasi rivolgendo un particolare ringraziamento al chiarissimo e carissimo ingegner Krapfen.
- Kramer, professore.
- E io che cosa ho detto?
Quella sera non riuscivo a prender sonno: non stavo più nella pelle al pensiero che tra pochi giorni avrei per sempre abbandonato quella landa sperduta. Verso mezzanotte stavo finalmente per assopirmi, quando udii bussare alla mia porta: si trattava di Terry, tremante e rossa in volto.
- Terry, sei impazzita? Che cosa fai qui?
- Fammi entrare.
- Ma che ti piglia? In piena notte? Non pensi a tuo marito?
- È proprio perché ci penso che sono venuta da te... Stringimi, tesoro!
- Vuoi spiegarti una buona volta?
- Non lo sopporto più, più, più, ecco!
- E come mai hai scelto quest’ora per accorgertene?
- Quell’animale! Per festeggiare la fine del progetto ha rubato, non so come, una bottiglia di brandy dall’infermeria e se l’è scolata tutta.
- Non mi sembra poi tanto grave. Avessi saputo che si possono fregare così facilmente l’avrei fatto anch’io.
- Si, ma poi lui ha rimesso sul letto e adesso è lì che russa come un suino. Gesù che schifo!... Ezio, sono in crisi, permettimi di restare un po’ da te.
- Ma se poi lui...
- Dormirà come un sasso fino a domani pomeriggio. Lo so, mica è la prima volta. Ti prego Ezio, fammi questo favore: in fondo sono già dieci giorni che all’”Am-1” non accade niente d’interessante...
- Hai ragione ma volevo finire nostro il lavoro prima che Rigoldi finisse il suo... E aspetta a spogliarti, alzo il termostato della stufa.
Verso le quattro fummo destati da un vigoroso bussare accompagnato da urla disperate:
- Ingegner Marchi, ingegner Marchi! M’aprisse per cortesia!
Scesi dal letto facendo segno a Terry di nascondersi in bagno e, attraverso la porta, chiesi:
- Alfio, cosa diavolo fa qui a quest’ora?
- Una cosa terribbile successe. Durante un giro d’ispezione trovai il professore assassinato!
- Che mi pigli... - esclamai aprendo la porta - Adesso entri, si calmi e mi dica tutto; anzi, mi dica una cosa prima di tutto: ha avvisato Kramer?
- Si, lo trovai che riposava nel suo alloggio, adesso sta con il morto, immobbili come sassi e muti come pesci tutti e due.
- Allora Alfio non mi dica altro, corra subito in sagrestia e non tocchi niente... Un momento! - aggiunsi colto da improvviso sospetto - Badi bene Alfio, nemmeno Kramer deve toccare niente. Niente, ha capito? E non avvisi chicchessia prima che io sia arrivato! Intesi?
- Agli ordini, ingegnere.
Quando Alfio si fu allontanato, Terry uscì dal bagno pallida come un cencio e disse:
- Ho sentito tutto... Orribile!... E adesso?
- Torna da tuo marito, chiuditi dentro e fatti una dormita.
- Facile a dirsi!
- Allora sta sveglia... Guarda se è rimasto del brandy e scolatelo... Fa quel cazzo che vuoi ma levati dai piedi! - urlai sconvolto.
Terry s’allontanò non meno sconvolta e io m’abbandonai su una poltrona.
«Sono fottuto!» pensai «Mi trovo qui per controllare che non succedano casini e guarda che tegola mi piomba sulla testa! Che faccio? Che faccio? Calma! Non perdiamo la calma e riflettiamo... Ehi! La busta sigillata! Dovevo aprirla in caso d’emergenza e se non è un’emergenza questa mi voglio impiccare, tanto tra breve provvederanno comunque Ferrero e il presidente dell’“Astertron”, di comune accordo!»
Nella busta trovai un foglio intestato “Astertron S.p.A. - Il Presidente” con timbro a secco e con il seguente contenuto:
Preg/mo Dott. Ing.
Ezio Marchi
Matr. Brastom/53/AA-1
Progetto “Eurocruiser Guide Control System”
Classificazione: ris. cat. RRR
*****
Oggetto: conferimento carica di commissario straordinario ad acta per la sede “Astertron Brasovia”, Monte Tomorik, Prefettura di Birat, Brasovia.
Con la presente Le comunichiamo che, qualora occorressero gravi e inattesi eventi riguardanti la sicurezza del progetto sopra citato e/o la persona del Coordinatore Generale, ch/mo Dott. Prof. Ing. Celestino Rigoldi, Lei assumerà seduta stante la carica di Commissario Straordinario per la sede “Astertron Brasovia S.p.A.”
Sarà pertanto Sua facoltà assumere tutte - si ribadisce TUTTE - le iniziative da Lei ritenute necessarie e/o opportune, senza doverne rispondere ad altri che a questa Presidenza.
In tale malaugurata eventualità tutto - si ribadisce TUTTO - il personale dovrà mettersi a Sua immediata e completa disposizione e ottemperare rigorosamente alle direttive da Lei impartite, ciò a sensi art. 18 Contratto Collettivo Decentrato Personale “Astertron Brasovia S.p.A.” - Prot. 23623/CCDper-AB come da allegata f/copia.
Gli inadempienti saranno licenziati in tronco senza diritto a buonuscita e trattenuti presso il corpo di guardia, sotto sorveglianza armata esercitata dal personale della vigilanza esterna, per il tempo e secondo le modalità da lei ritenute opportune, in attesa di ulteriori istruzioni da parte di questa Presidenza.
La ringraziamo per la cortese attenzione, ecc. ecc...
P.S. - La presente potrà essere esibita a chiunque ne faccia motivata richiesta, anche verbale.
«Cristo santo! Ma questo è... è il... POTERE, il potere assoluto!!! Quelli sono pazzi! M’hanno forse preso per il Führer? Calma: ho voluto la bici... Beh, a onor del vero questo modello non l’ho scelto io comunque devo pedalare lo stesso. Prima cosa subito da Pirovano, devo incaricarlo dell’ispezione sul cadavere.»

Capitolo 13
Nell’infermeria, illuminata dalla fioca luce d’una lampada sulla scrivania, aleggiava uno strano odore, un misto di brandy e di qualcos’altro che non riuscivo a definire.
Il dottore, con un’espressione imbambolata che non mi stupì più di tanto, stava giocando a scacchi contro Taveggia, il quale teneva sotto scacco il re avversario con cavallo e torre.
- Dottore, deve venire immediata... Taveggia, che ci fa lei qui a quest’ora? - chiesi irrompendo nel locale.
- Buonasera ingegnere. Ecco io, verso una certa ora ho visto la luce accesa, così sono entrato. Il dottore, qui, m’ha detto che non riusciva a dormire per via che pensava alla fine dei lavori e si preoccupava per il suo posto, così sono rimasto a farci compagnia fino adesso, a giocare con gli scacchi e... non so se dircelo...
- Parli, maledizione!
- A... Abbiamo bevuto assieme un bicchierino di brandy medicinale... Ingegnere, la prego, non ci faccia rapporto!
- Al diavolo, Taveggia! Altro che rapporto le faccio! Proprio stasera doveva far bere questa vecchia spugna!
- Perché, cosa è capitato?
- Rigoldi è morto.
- Rigoldi è morto?
- Non faccia il pappagallo Taveggia e m’aiuti... Dottore! Dottore! - urlai appioppando uno schiaffo al volto inespressivo di Pirovano - Dottore si dia una mossa! Dannato ubriacone!... Taveggia, c’è mica del caffè caldo?
- Ce n’è un thermos pieno là dentro. - rispose il giovane schizzando verso un armadietto a vetri e infrangendone rumorosamente un’anta - Pirla d’un pirla che sono!... Ho perso la tramontana!... Rigoldi morto!... Guarda la mia mano, perdo sangue come un maiale. Schifa vacca che male!
- Imbranato d’un imbranato! Anche lei ci si mette! Si tolga di mezzo e si fasci alla svelta, penso io al dottore.
- Adesso... vengo... Marchi. - farfugliò Pirovano - Dia a me il thermos... Sono in grado di servirmi da solo... Ma... ho sentito bene?
- Ha sentito perfettamente dottore: Rigoldi è morto ammazzato... Ecco qua il suo giubbotto: lo metta, beva mezzo litro di caffè e mi segua. E si spicci, per amor del cielo, si spicci!
All’interno della sagrestia trovai Alfio, pistolone in pugno, che sorvegliava Kramer abbandonato su una sedia con atteggiamento affranto.
- Alfio, dov’è Rigoldi?
- Sotto a quel tavolo, ingegnere.
- Ha toccato niente?
- Niente toccai e nemmeno l’ingegner Kramer, almeno fin da quando io me ne sto qua con il mio giocattolo.
- Dottore, veda un po’ lei. - ordinai a Pirovano
All’improvviso sembrò che il medico riacquistasse tutta la sua professionalità: si chinò sul cadavere, lo auscultò e lo toccò senza spostarlo, lo esaminò con estrema cura, quindi s’alzò.
- E allora? - chiesi.
- Per morto è morto: un solo fendente, dritto al cuore, poco sangue, niente tracce dell’arma o altro; fossi il “coroner” dei telefilm, lo definirei un caso da manuale.
- E quando è stato?
- Beh Marchi, non m’intendo di medicina legale ma azzarderei tra l’una e le due, mezz’ora più, mezz’ora meno.
- Grazie dottore, per il momento è tutto. Ce la fa a tornare al suo alloggio da solo?
- Senz’altro: questa brutta storia m’ha snebbiato completamente, anche se continuo ad avere un’emicrania terribile.
- Mi raccomando, basta brandy, chiuso! Intesi?
- Ci può contare. Buona notte Marchi.
- Notte dottore... Alfio, vuole seguirmi un attimo in corridoio? Quanto a lei Kramer - ordinai risoluto - non si muova da quella sedia fino al mio rientro... Dimenticavo: soprattutto non tocchi il P.A.M. perché me n’accorgerei! - aggiunsi, nient’affatto convinto della sparata ma non per questo meno risoluto - Sono esperto in materia di missili. Capita l’antifona?
Il tedesco mi guardò senza vedermi poi, come si riscuotesse dall’ipnosi, ribatté con arroganza tipicamente prussiana:
- Io primo assistente di professore e professore capo di tutta attività di “Astertron Brasovia”. Lui morto e io, in questo esatto momento, sostituisco professore in tutto e per tutto! Con quale autorità osa lei a me dare un simile ordine?
- Con l’autorità conferitami da questa, se non ha nulla in contrario. - risposi mostrando la lettera di nomina.
- Ach so! Allora io aveva giusto pensato. - biascicò Kramer annichilito, dopo aver visionato il documento.
- Già: non sono venuto in mezzo a questa desolazione solo per manipolare scartoffie, dunque m’aspetti qui buono e zitto, ma soprattutto tenga le mani in saccoccia.
In corridoio Alfio disse:
- Comandi, ingegnere,
- Cominciamo da lei, Alfio... Dunque: lei stava facendo il suo giro notturno.
- Per l’appunto.
- Quanti ne fa di solito?
- Di solito manco uno, ingegnere.
- Neanche uno? Alfio, ma che cazzo di guardia è lei?
- Ingegnere, che vuole da me? Io qua solo sto, presto servizio sedici ore il giorno e manco lo straordinario mi pagano!
- Lei è l’unico guardiano?... Eh, già: solo adesso ci faccio caso ma in effetti altre guardie interne non ne ho mai viste.
- Ingegnere, in questo posto di minchia su tutto si risparmia e adesso vediamo i risultati! Però pure colpa del povero professore fu: si lamentava di tutte le procedure per la sicurezza, diceva sempre che gli rompevo i coglioni così negli ultimi tempi non ci facevo più tanto caso... Ingegnere, non mi rovini!
- Alfio, sento un maledetto fetore di chiappe bruciate e sono le mie, solo le mie! Intanto lei pensi a darmi una mano che, quanto al resto, assumo io ogni responsabilità.
- Grazie, ingegnere. Le bacio le mani! Sempre agli ordini.
- Intanto mi spieghi perché, proprio stanotte, ha deciso di fare un giro d’ispezione.
- Non riuscivo a prendere sonno.
- Neanche lei?
- Come sarebbe neanche io?
- Alfio, chi fa le domande qui?
- Scusasse, ingegnere. A ogni modo non riuscivo a dormire pensando che tra poco la mia Concettina rivedo: bedda come i fiori d’u’ Mongibbeddu è!
- Non divaghi Alfio. Dunque: lei stava facendo un giro così, tanto per fare e...
- E la porta della sagrestia socchiusa trovai. Come ci dissi, non mi permisi d’entrare subbito ma il cadavere del professore lo potei scorgere, così agii d’iniziativa e irruzione feci, perché fatto gravissimo lo ritenei. Chiaramente altre persone non ne vidi, sennò... - disse Alfio sollevando il cane della pistola.
- Ha notato qualcosa di strano?
- Minchia, ingegnere! Il capo morto ammazzato non ci pare abbastanza strano?
- A parte il morto, intendo.
- Assolutamente nulla.
- Poi è andato a chiamare Kramer.
- Si, pensai che cosa corretta fosse: pi ’mmia il capo era diventato lui. Ancora non sapevo di quella lettera che lei tiene, ingegnere.
- Ha fatto bene Alfio. E Kramer dove si trovava?
- Nel suo alloggio.
- E l’alloggio di Kramer dov’è?
- Vicino alla camera del professore.
- Si, ma in che zona del campo?
All’improvviso mi resi conto di non aver mai appurato dove dormissero il tedesco e Rigoldi, e non era l’unica cosa che ignoravo circa il funzionamento dell’impianto: ahimè, troppo alla leggera avevo preso il mio incarico non ufficiale e adesso stavo pagando il fio della mia leggerezza.
- I loro alloggi non stanno nel campo.
- Alfio, la smetta di menar il can per l’aia! Mi dica tutto assieme una buona volta! Dove sono quei maledetti alloggi?
- Qua sotto, nella sagrestia. Ci stanno due camere singole, un salottino e un servizio. Pensi, ingegnere, pure la “Jacuzzi” c’installarono!
- Lasci andare la “Jacuzzi” e mi dica piuttosto come le è sembrato Kramer.
- Quando lo svegliai assolutamente normale era poi, quando vide il cadavere del professore, turbato mi sembrò.
- Le sembrò... Altri dettagli?
- Non mi... Un momento: a letto vestito lo trovai.
- Questo è un indizio... o no? - mi chiesi ad alta voce.
- Perché ingegnere? Lei pensa...
- Non penso niente, Alfio. La ringrazio: per il momento è tutto.
- E il cadavere?
- Ah già, il cadavere. Si potrebbe metterlo in cella frigorifera, ben avvolto nel nylon, ovviamente.
- Rimuovere un morto ammazzato vuole? - chiese Alfio stupito.
- Perché no, in fondo? Quella lettera mi conferisce la facoltà di fare questo e altro. In ogni modo, al momento, prenda una coperta dalla camera di Rigoldi e lo copra, poi si vedrà.
Entrai nella sagrestia con Alfio e, quando il brav’uomo ebbe atteso alla pietosa incombenza, dissi:
- Grazie Alfio. Adesso può uscire ma si tenga a mia disposizione nel corridoio.
- Uscire nel corridoio devo?
- Esatto, non voglio nessuno presente mentre mi lavoro il crucco.
- Almeno la pistola mia si tenga.
- Alfio, non esageriamo!
- Agli ordini, ingegnere

Capitolo 14
A tu per tu col tedesco, lo fissai dritto negli occhi e chiesi:
- Allora Kramer, ha qualche idea?
- Io non so cosa pensare, Marchi. - disse il tedesco apparentemente smarrito.
- Io invece un’idea l’avrei... Da dove ha detto di venire Kramer?
- Da Francoforte.
- Ma guarda! Proprio da dove ha sede la “Elektrobund A.G.”, accanita concorrente della “Astertron S.p.A.” nell’affare “Eurocruiser”? Se sbaglio mi corregga.
- Marchi io so che a lei io non piace e neanche lei a me piace...
- Apprezzo la sua franchezza, ma quanto lei pensa circa la mia persona mi lascia del tutto indifferente. Vada pure avanti.
- Però non è come lei crede.
- Che cosa dovrei credere, secondo lei?
- Che io ho intenzione di manipolare P.A.M. per incasinare tutto progetto, così “Elektrobund” sputtana “Astertron” e dimostra a commissione europea che tecnici italiani fanno schifo al cazzo.
- Congratulazioni per la conoscenza dei nostri termini scientifici... Proceda Kramer.
- Come lei sospetta, io conosce perfettamente combinazione di camera blindata e codice per decrittare “password” di P.A.M.: infatti professore molto distratto e lui sempre grossa paura di dimenticare, così ha a me detto queste cose.
- C’era da scommettere anche le mutande.
- In questo modo io può entrare in camera blindata e manipolare progetto. Io certo che anche questo lei suppone.
- Ottima lettura del pensiero, Kramer. Ma adesso riposi perché vado avanti io... Circa all’una lei entra quatto quatto nella camera blindata, si mette al P.A.M., apre la directory di progetto e si accinge a scombussolare tutto. Se non che succede l’imprevisto: Rigoldi, che non riesce a prendere sonno (infatti mancava solo lui tra gli insonni di stanotte), entra nello studio, la vede nella camera blindata, si rende conto delle sue intenzioni e si mette a sbraitare: «Krapfen! (o Gromeck, o Kappler, o vattelapesca) Cosa accidenti sta facendo?» perciò lei, Kramer, pescato con le mani nel sacco, perde la testa, afferra un tagliacarte e fa secco il vecchio.
- Suo ragionamento non fa grinza Marchi, però sbaglia.
- Non m’aspettavo che ci mettesse la firma. E in che sbaglierei?
- In primo luogo io potevo progetto in ogni momento danneggiare, senza fare me accorgere.
- D’accordo ma solo pochi files per volta, non tutta la directory in un colpo solo; inoltre Rigoldi, alla prima marachella, se ne sarebbe facilmente accorto, avrebbe altrettanto facilmente risistemato le cose e lei sarebbe stato rispedito a Francoforte dai suoi veri datori di lavoro... In secondo luogo?
- Marchi, mi creda, io grande stima per Rigoldi, come osa pensare che io ho potuto lui uccidere? Lui maestro, grande maestro, anche se italiano.
- Bontà sua, Herr “Übermensch”.
- Marchi, non prenda me per sedere! - sbottò Kramer punto sul vivo - Io davvero a Rigoldi affezionato! Io rimediato un mucchio di sue cazzate! Io tante volte messo ordine in sui casini, anche se non tutti, perché impossibile!
- Certo Kramer ma era più affezionato alla bustarella promessale dalla “Elektrobund”, solo che qualcosa è andato storto.
- Lei continua a sbagliare, Marchi. E adesso io dimostro.
- Sono tutt’orecchi.
- Io ho alibi per ora di delitto.
- Oh, ma... Questo cambia non poco le cose. Parli dunque.
- Da ore dieci e mezza fino a tre e mezza di mattina, circa, io giocato carte con Ciccone e sua signora. Io buono amico di coniugi Ciccone e spesso con loro passa serata in tranquillità.
- Ah! Allora succedeva spesso.
- Dunque lei sapeva di nostri rapporti?
- Kramer, qui le domande le faccio io! Proceda.
- Però a mezzanotte Frau Terry esce affermando che lei dimenticato di finire pratica urgente in ufficio, pratica lunga perché, quando io lasciato Aldo, lei ancora in “Am-1”... forse... sempre che Frau Terry... lei...
- No Kramer, non è stata Terry. Se lo scordi. Garantisco io per lei.
- Perché?
- Perché?... Perché sì, e basta!... Insomma, vuol capire che le domande le faccio io? Le ordino d’andare avanti.
Però un tarlo, un piccolissimo tarlo prese a rodermi le meningi... «Senti un po’.» pensai preoccupato «Se è vero quello che dice il mangiapatate, la faccenda s’ingarbuglia maledettamente.»
- Gut. Io grossa somma vinco, poi torno in sagrestia a ora che io detto, molto, moltissimo stanco, così io stendo su letto senza spogliare.
- E non ha notato niente?
- Si, porta di sagrestia aperta e anche porta di camera blindata aperta ma io non meravigliato: di notte professore usciva spesso da sagrestia e girava per corridoi a pensare, poi rientrava e metteva sue idee dentro P.A.M. Anche per questo io non poteva rischiare di manipolare progetto, né giorno, né notte.
- Potrebbe anche essere vero ma è altrettanto vero che sarebbero bastati pochi minuti per mandare tutto in malora e pertanto lei potrebbe anche aver rischiato... In ogni modo riprendiamo il filo: lei è rientrato e, pur vedendo la camera blindata aperta, non si è nemmeno sognato di salutare Rigoldi.
- Io mai permesso di disturbare professore quando lui di notte lavorava. Era di notte che lui aveva idee più geniali.
- Accidenti! Ma in questo posto del cazzo nessuno dorme mai, specialmente in questa notte di merda!
- Bitte?
- Niente, considerazioni personali... In ogni caso mi spiace per lei ma a me risulta per certo che i Ciccone non hanno passato la serata in sua compagnia, anche se non posso dirle come l’ho saputo. Per cui meglio tagliar la testa al toro... Alfio, è ancora lì fuori? - chiamai riaprendo la porta della sagrestia.
- Comandi, ingegnere.
- Vada immediatamente dal geometra Ciccone, lo tiri giù dal letto anche se fa storie e lo porti qui.
- Pure la signora Terry?
- Ehm... Con la signora Terry me la vedo io più tardi, se è il caso.
- Agli ordini, ingegnere. - disse Alfio avviandosi.
- Kramer, avrebbe del caffè?
- In salottino macchinetta espresso. Io prepara per tutti due.
Bevemmo il caffè e restammo a guardarci in silenzio - con aria di reciproca sfida - sino all’arrivo di Alfio con il geometra: Aldo aveva l’espressione stralunata ed emanava un afrore di alcool da far concorrenza a una bettola.
- Carissimi ingegneri, in che triste circostanza ci si ritrova! - esclamò con un turbamento che puzzava d’ipocrita più di quanto puzzasse di brandy il suo alito - Che disgrazia! Alfio m’ha riferito... Una sciagura... Non ho parole...
- Ebbene geometra, allora risponda solo a questa domanda: fino a che ora ha giocato a carte con Kramer?
Ciccone parve cadere dalle nuvole:
- Io non ho giocato a carte con nessuno, ingegner Marchi. Anzi le posso dire che, verso le undici, undici e mezza mi sono sentito poco bene per motivi su cui la prego di non rivolgermi domande.
- Accontentato, geometra.
- Così mi sono coricato mentre la mia signora era ancora in piedi, e ho dormito fino al momento in cui Alfio m’ha chiamato... Meno male che Terry dormiva in un altro locale per non disturbarmi... capirà, nelle condizioni in cui mi trovavo... Così non ha sentito niente: meglio, preferisco che sappia di quest’orribile storia quando si fa giorno.
Sentendo le parole del geometra, Kramer impallidì.
- Aldo! Come può tu dire bugia grossa come questa? - urlò il tedesco - Noi a poker giocato fino a tre e mezzo... Noi buoni amici!
- Certo, Helmut, non ho nessun motivo per negare la nostra amicizia ma, mi consenta, questo non significa che stanotte, proprio stanotte, noi due si sia giocato a poker fino alle tre e mezza.
- Aldo, per amore di cielo! Dici verità! Io giocato e vinto, vinto grossa cifra. Io pregato te di smettere ma tu continuato a trattenere me e a dire di volere te rifare finché tuo debito salito a cinquemila dollari! Io capisce che tu non vuole di tuo vizio parlare con altre persone ma tu deve verità dire a Marchi. Non voglio tui soldi, tieni tutto ma dici verità, ti prego!
- Mi spiace Helmut ma, mi consenta, o lei mente o è pazzo... Ingegner Marchi, se me lo consente...
- Grazie geometra. Torni pure a letto.
Quando Ciccone, in compagnia di Alfio, ebbe lasciato la sagrestia, commentai ironico:
- Punto e a capo, ingegner Kramer.
- Lui vigliacco, porco, traditore, bugiardo...
- Kramer, come prima accennato, a me consta che il geometra Ciccone, proprio nell’arco di tempo in cui avreste dovuto giocare a poker e Rigoldi è stato ucciso, era ubriaco fradicio... pure lui: a quanto pare questa è la notte delle insonnie e delle sbornie.
- Bitte?
- Niente, altre considerazioni personali... Del resto l’alito di Ciccone l’ha avvertito anche lei.
- Lui bevuto dopo partita di poker per imbrogliare cose.
- Avrebbe già dovuto essere informato dell’omicidio. Impossibile.
- E lei, Marchi, sicuro che Ciccone non era informato?
«Accidenti, anche questo potrebbe essere vero... Ma allora Terry m’avrebbe rifilato una terribile menzogna? Come mai? Questo è tutto da appurare ma meglio pensarci più tardi, per il momento devo finire con questo crucco della madonna.»
- Sta bene Kramer, - ammisi - a questo punto non posso escludere niente: in fondo si tratta della parola di lei contro quella di Ciccone. Quindi, per quello che può ancora valere, metto la mia carriera sul tavolo verde: mi dimostri di non fare il gioco della “Elektrobund” e io sarò costretto a crederle perché, allo stato attuale, mancherebbe un plausibile movente a suo carico.
«Poi sarò anche costretto ad andarmene a calci in culo, visto che non ho la minima idea di chi altri incastrare... salvo che...»
Udendo la mia proposta Kramer si rianimò.
- Perché non ha subito questo a me detto, Marchi? Lei pensato di giocare a ispettore Derrick? La prego di me seguire a consolle di P.A.M.
- Un attimo Kramer... - dossi accostandomi alla porta della sagrestia - Alfio, è ancora nel corridoio?
- Comandi, ingegnere.
- Provveda al cadavere.
- Subbito ingegnere. Vado a chiamare il cuoco che in cella frigorifera assieme lo portassimo.

Capitolo 15
Nel “sancta sanctorum”, seduti entrambi davanti alla consolle, le parti s’erano decisamente invertite: Kramer ottimista e io in preda a cupi presentimenti.
Il tedesco digitò senza incertezze quell’autentico segreto di Pulcinella che era la “password” del giorno e aprì la directory mostrandomi una lunga serie di files.
- Lei Marchi intende di queste cose?
- Discretamente, come le ho accennato.
- Allora lei capisce che lavoro per assemblaggio di progetto piuttosto facile, e neanche lungo.
- Roba da principianti, direi. Tuttavia bisogna stare attenti: basta un piccolo errore, magari involontario, per ingarbugliare tutto e dover rifare il lavoro di mesi.
- Non succederà... A proposito, ha lei notato file “End & Send”?
- Si, ed è una delle poche cose che non capisco.
- Quando tutto progetto assemblato, applicando “End & Send” impossibile riaprire progetto per chiunque, eccetto che per primo dirigente di “Euro Copyright Bureau”. Solo lui ha busta sigillata con password speciale per potere riaprire.
- Ma quante password ci sono in questa maledetta faccenda? - mi chiesi, poi seguitai - Di conseguenza, se lei finisce il lavoro d’assemblaggio senza intoppi e attiva “End & Send”, il progetto è bell’e pronto per essere spedito e brevettato, senza che altri abbiano la minima possibilità di manipolarlo sino alla consegna ufficiale.
- Sue idee molto chiare, Marchi.
- E a questo punto la “Elektrobund A.G.” si fotte.
- Jawohl.
- Proceda Kramer. - dissi con la morte nel cuore - Ma badi, non cerchi d’imbrogliare le carte o ha chiuso. Sono in grado d’accorgermi se lei fa il furbo, può contarci. E ripeta ad alta voce tutti i passaggi e le operazioni che compie perché sto cascando dal sonno.
- Gut: io comincia a installare collegamento finale tra processore di “feedback” e circuito controllo orientamento “OR-check/A1-bis”...
Per due ore Kramer continuò la sua radiocronaca senza la minima esitazione, senza il minimo errore, mentre le mie speranze d’incastrarlo andavano consumandosi come una candela e il sonno se ne andava, rimosso dall’ansia crescente.
- Ancora poco. - disse il tedesco quando l’assemblaggio era pressoché concluso - Prima che io attiva “End & Send” io sostituisce file “MT-212/E-bis” con “MT-212/E-ter...
Improvvisamente un campanello prese a squillarmi nella mente e una luce di speranza vi s’accese.
- Sangue di Giuda!
- Bitte?
- Kramer, ripeta immediatamente l’ultimo codice!
- “MT-212/E-ter”.
- E-ter... E-ter... ETERE! Ecco cos’era quell’odore che avvertivo prima in infermeria.
- Io non capisce.
- Siii, Kramer! - urlai quasi abbracciandolo - Quello frammisto alla puzza di brandy! E a che cosa può servire l’etere? Soprattutto a una cosa!
- Marchi, vuole a me spiegare?
- Niente Kramer, le solite considerazioni... Manca ancora molto?
- Nein. Eins, zwei, drei, “End & Send”! Alles in Ordnung.
- Perfetto, egregio collega, adesso ha facoltà di ritirarsi... Prima però mi voglia perdonare: credo d’aver preso un’enorme cantonata.
- Non mi sembra caso, a suo posto anch’io avrei pensato come lei.
- D’accordo ma lei, pur senza volerlo, forse m’ha salvato mentre io ho sfacciatamente cercato d’incu...
- Bitte?
- Niente, stasera sono in vena di considerazioni... Notte Kramer.
Mi precipitai fuori - nella luce del sole ormai alto nel cielo - seguito da Alfio, che avevo distolto dal suo tranquillo ronfare su una sedia nel corridoio e, arrivato all’infermeria, v’irruppi come un turbine, scuotendo Pirovano assopito sulla sua branda.
- Dottore, dottore!
- Eh, come?... Marchi, cosa succede di nuovo? Altre disgrazie? - biascicò il medico riprendendo, subito dopo, il sonno interrotto.
- Si alzi... Dorme ancora, dottore? E come riesce a dormire su un cuscino così umido?... Per tutti i diavoli, anche questo quadra! Su, sveglia!
- Devo essere ancora ubriaco... o lo è lei?... Lo sapevo, non dovevo farmi spedire quel brandy. Maledetto il mio vizio!
- Dottore, sente questo puzzo?
- Certo, brandy misto a etere. Taveggia si dev’essere disinfettato con l’etere invece che col “Cicatrol”. Povero ragazzo, forse ha bisogno di punti, devo mandarlo a chiamare.
- Fra un istante ci pensa Alfio.
- Subbito, ingegnere.
- Fra un istante, ho detto... Però l’odore d’etere c’era anche prima che Taveggia si ferisse, vero dottore?
- Non ricordo e comunque non la seguo.
- Dottore, mi stia bene a sentire, la prego: lei e Taveggia avete SEMPRE giocato a scacchi?
- Sempre.
- Sicuro di non aver mai dormito nel corso del gioco?
- Adesso che mi ci fa pensare... forse.
- Ricorda l’ora?
- No, l’orologio non funziona... forse era l’una, l’una e un quarto, comunque mi sarò assopito cinque minuti, non più.
- È pronto a giurarlo?
- Glielo ripeto, non avevo l’orologio: s’è scaricata la pila due settimane fa e Taveggia non riesce a trovarmi il ricambio, tuttavia... No, non posso giurarlo!
- Alleluia!
- Eh?
- Alfio, porti qui Taveggia, immediatamente!
- Taveggia? Quel buon picciotto? Mio amico è, pure se polentone, e ci posso garantire...
- Alfio, non perda altro tempo o la faccio rinchiudere nel corpo di guardia, a pane e acqua. Scattare!
- Agli ordini, ingegnere. - rispose Alfio partendo di gran carriera.
Nell’attesa mi misi a curiosare per il locale sotto lo sguardo perplesso di Pirovano. Dopo alcuni minuti, Alfio si presentò con Taveggia intento a ripulirsi gli occhi cisposi.
- Buongiorno Taveggia e bando alle ciance: è in grado di spiegare quest’odore di etere?
- Io?... Come?... Ah, mi ci sono disinfettato. Schifa boia, bruciava da fare i salti!
- Stanotte, quando sono entrato qui, l’odore c’era già e lei non presentava traccia d’altre ferite.
- Beh, sa com’è, si tratta di un’infermeria, mica d’un fioraio.
- Ma l’odore era molto forte, come se qualcuno ne avesse usato in quantità molto recentemente, e non certo per disinfettarsi. Infatti - aggiunsi mettendo mano al contenitore dei rifiuti - questo tampone è inzuppato d’etere ma non presenta tracce di sangue. Vuole annusarlo anche lei dottore? Cos’è?
- Etere etilico, appunto.
- Quest’altro tampone invece ne presenta e scommetto che sa di “Cicatrol”. Esatto, dottore?
- Esatto Marchi: “Cicatrol Forte”.
- Allora aggiorniamoci: ieri sera lei, Taveggia, ha cominciato a far bere il dottore, ha continuato a versargli cicchetti a ripetizione e l’ha tenuto sveglio con il pretesto degli scacchi. Quando il dottore, secondo i piani, s’è steso sulla branda perché aveva piene le tasche della sua abilità di scacchista e s’è appisolato, lei, per maggior sicurezza, gli ha fatto inalare l’etere del tampone, questo qui, senza sangue...
- Vacca!
- Poi è uscito, è andato al bunker principale e, anche se non ho ancora ben chiari né il come né il perché, è entrato nella sagrestia. Qui lei è stato sorpreso da Rigoldi, del quale evidentemente non sospettava le insolite abitudini notturne, ha perso la testa e l’ha fatto fuori con un tagliacarte o qualcosa di simile, che penso troveremo nel suo alloggio, assieme ai pantaloni macchiati con il sangue di Rigoldi... e con il suo. Infatti, non me la racconti, prima lei non s’è ferito per sbaglio ma per giustificare le macchie sui pantaloni se qualcuno li avesse trovati. Però sono certo che, se qui in Brasovia funziona una Scientifica, lei è destinato a passare qualche annetto nelle accoglienti galere locali.
- Boia!
- Procediamo: dopo aver ucciso Rigoldi, è tornato in infermeria, ha svegliato il dottore spruzzandogli in faccia dell’acqua... Toh, guarda: il cuscino del dottore è ancora umido... gli ha dato da intendere che aveva dormito qualche minuto, tanto l’orologio del dottore era fermo, come lei sapeva, e ha insistito perché riprendesse a giocare. Ed è quello che stavate facendo quando sono entrato io; anzi, se ben ricordo, una schiappa come lei stava suonandole a un abile scacchista come il dottor Pirovano. Certo una schiappa vince facile se l’avversario è un po’ rimbecillito... Taveggia, la prego di correggermi se sbaglio.
- Vacca d’una vacca schifosa! - esclamò Taveggia.
Alfio, pistola alla mano, e il dottore che, nell’occasione, mostrò un’inattesa prontezza di riflessi, bloccarono sul nascere il balzo di Taveggia
- Bene, a quanto pare non sbagliavo.
- Ci ha ragione, ingegnere! Sono stato io, ma ci giuro che non volevo, pirla che sono!
- Perché?
- Perché sono solo un burattino! Perché ci ho una crapa di merda! Perché quella là m’aveva promesso...
- Chi le aveva promesso e cosa le aveva promesso?
Taveggia si riscosse e, guardandomi con espressione decisa, disse:
- Taveggia parla pü no, ingegnere, neanche se mi strappa le bale. E adesso mi faccia pure sbattere al fresco da Lazar: so già che può farlo, me l’ha detto l’Alfio.
- Fetùso, cornuto, polentone di mmerda, fìgghiu di buttana! Io di persona t’accompagno al corpo di guardia e se provi a scappare morto sei! - sbraitò Alfio puntando la pistola alla tempia di Taveggia.
- Alfio, non esageriamo.
- Agli ordini, ingegnere.

Capitolo 16
Restai in infermeria con il dottore e gli riepilogai per sommi capi quant’era successo sin dal momento in cui Alfio aveva bussato alla porta della mia baracca per comunicarmi la ferale notizia. Quand’ebbi finito, disse, scotendo il capo:
- Chi l’avrebbe mai pensato? Un bravo giovane così.
- Neanche io l’avrei mai pensato, dottore, ma sono quasi certo che l’autentico responsabile di tutta la faccenda non è lui.
- Ha ragione, Marchi: Taveggia potrebbe essere solo una fantoccio; questo lo capisce anche un vecchio etilista come me.
- Non si flagelli dottore: anche con la mente annebbiata, m’ha dato un valido aiuto.
- Ma com’è riuscito ad arrivare a lui?
- Casualmente il primo “input” me l’ha dato Kramer, senza nemmeno rendersene conto.
- E adesso cosa succederà a quel povero stolto?
- Non ne ho idea. Penso sarà una faccenda che sbrigheranno tra loro le autorità dei due paesi, senza troppi scandali.
- In ogni caso mi felicito con lei, Marchi: ha salvato il progetto...
- Che probabilmente non ha mai corso alcun rischio.
- Questa poi... E lei come lo sa?
- Ho una certa idea, ancora confusa ma ce l’ho.
- La tenga per sé, Marchi: sono troppo frastornato per seguirla. In ogni caso ha subito scovato il colpevole del delitto. Le faranno un monumento.
- Ne dubito.
- Perché?
- In primo luogo perché quanto avvenuto è anche colpa mia.
- Stento a crederle.
- Comunque, ci creda o non ci creda, ne sono indirettamente corresponsabile e non mi faccia dire di più.
- In secondo luogo?
- Non merito monumenti. Sono stato solo fortunato e la più gran fortuna è stata che l’omicida fosse un bietolone senza cervello e senza spina dorsale. Fosse stato un duro tutto d’un pezzo si sarebbe controllato e avrebbe negato anche l’evidenza. Del resto, finché Taveggia non s’è tradito, la mia ricostruzione degli eventi era solo un castello di carte: lo stesso tampone con l’etere dimostrava ben poco, però la mossa a effetto è servita a spaventare il nostro pollo. Troppo tardi s’è messo a fare il duro e ha deciso di non parlare più... povero babbeo.
- E i pantaloni insanguinati? Sono una prova schiacciante.
- Li avrà occultati chissà dove, assieme all’arma del delitto; meno male che ha confessato senza troppe storie, e alla presenza di testimoni... No dottore, mi creda, è stato un colpo di fortuna. A ogni modo non finisce qui.
- No?
- No, perché vede, dottore...
- Lasci stare Marchi, quel che conta è che la sua parte l’ha fatta egregiamente. All’“Astertron” non importa altro.
- Ma importa a me! Non mi va di farmi infinocchiare da chi dico io. Prima d’essere buttato nel bidone della spazzatura voglio togliermi qualche sassolino dalla scarpa.
- A questo punto, mi scusi, ma veramente non sono più in grado di capire i suoi ragionamenti perciò mi faccio un pisolino e poi vado al corpo di guardia per curare Taveggia.
- Me lo saluti e gli ricordi che non ho niente di personale contro di lui.
- D’accordo. Adesso vada a dormire anche lei: ha una faccia che non mi piace per niente. I suoi sassolini possono attendere.
Dormire? Pirovano faceva presto a dirlo: il tarlo che aveva preso a rodermi le meningi s’era trasformato in una moltitudine di formiche le quali passeggiavano frenetiche sulla mia corteccia cerebrale.
Dopo un’ora di congetture e rigiramenti tra le coltri, mi ritrovai teso come una corda di violino e impaziente d’affrontare l’ultimo duello prima della fine.
Mi rivestii e m’avviai all’”Am-1”. Passando dalla portineria, impartii ad Alfio un rapido ordine quindi, in ufficio, verificai una certa cosa e infine mi piazzai alla scrivania, come ragno che attenda la preda...
Dopo mezz’ora Terry entrò tutta pimpante. Apparentemente le vicende notturne erano passate su di lei senza la minima conseguenza.
- Uàu, mio prode! Alfio ha detto che mi volevi vedere e m’ha riferito ogni cosa: sei stato mitico!
- Chiudi la porta Terry.
- A chiave, come il solito, eroe!
- Te lo do io l’eroe! – ringhiai, quando la bella ebbe girato la chiave nella toppa - Forse anch’io sarò fottuto ma, per il momento, sei mia!
- Lo sono sempre stata, amore, fin da quando sei arrivato in questo posto scordato da Dio. Credevo d’avertene data l’ennesima dimostrazione solo poche ore fa ma, caso mai ce ne fosse bisogno, sempre pronta a rinfrescarti la memoria. - disse Terry facendo scorrere la “zip” del giubbetto in pelle, sotto cui indossava solo uno dei suoi capi sciccosi.
- Non fare la spiritosa, non mi pare il caso! Ti ho in pugno, capisci?
- No, ma se vuoi spiegarti sono tutt’orecchi.
- Terry, tu e il tuo sacco di paglia, in combutta, m’avete ingannato: stanotte lui non era brillo, era con Kramer a giocare a poker. In questo modo, mentre lui teneva sott’occhio il crucco, tu tenevi sott’occhio me per evitare che o io o lui capitassimo casualmente in sagrestia nel momento meno opportuno.
- Ammesso per assurdo che questa stronzata sia vera, t’è poi tanto dispiaciuto essere tenuto sott’occhio da me? – chiese Terry maliziosa.
- Non cambiare discorso.
- D’accordo. Ma tu come sei arrivato a formulare un’ipotesi tanto strampalata?
- Non è un’ipotesi strampalata: me l’ha detto Helmut in persona e ho fondati motivi per ritenerlo sincero.
- Aldo era nel nostro alloggio, ubriaco e solo. L’ho detto e qui lo riconfermo!
- Allora perché Helmut avrebbe dovuto sostenere di trovarsi assieme ad Aldo e non nella sagrestia, al momento del delitto?
- È ovvio: fino alla scoperta del colpevole era lui il principale indiziato, senza contare che potrebbe essere stato lui ad agevolare Taveggia, magari lasciando aperta la porta della sagrestia.
- Certamente ma dal mio punto di vista, che poi è ancora quello che conta per i capoccioni della centrale, si tratta d’un sospetto infondato: Helmut aveva un’autentica venerazione per Rigoldi.
- E sta bene, Helmut non era d’accordo con Taveggia. Però ti pare dignitoso, per il primo assistente, farsi accoppare il capo da un cretino mentre sta ronfando nella stanza accanto alla scena del delitto? Un capo del calibro di Rigoldi poi. Se ammettesse d’essere stato lì stanotte, al momento del crimine, Helmut potrebbe cercarsi un posto di lustrascarpe a Zanzibar.
- Potresti avere ragione Terry. Però spiegami come mai Alfio l’ha trovato vestito.
- Quassù tanta gente dorme vestita: molti lavorano giorno e notte sperando d’abbandonare al più presto questo postaccio, non ci sono turni fissi. Quindi, suppongo, un formalista come Helmut dormiva vestito per non dover accorrere in mutande nel caso il capo lo chiamasse alle ore piccole.
- Mmmh... sarà! - feci scettico - Punto due.
- Va pure avanti, tesoro, sono tutt’orecchi.
- Secondo te, come ha fatto Taveggia a entrare nella sagrestia?
- Anche se non è stato Helmut, ci pensava Rigoldi a lasciare aperta, spesso e volentieri, la porta della sagrestia; e non solo quella, anche la porta blindata. Me l’ha confidato Helmut tempo fa, e sembrava preoccupatissimo; in ogni caso lo sapevano anche i sassi.
- La lasciava aperta spesso ma non SEMPRE, quindi Taveggia non poteva esser certo di trovarla aperta proprio stanotte, di conseguenza doveva procurarsi un badge abilitato ad aprire la porta della sagrestia: il suo non lo era.
- Sicché tu pensi che Taveggia abbia clonato un badge abilitato?
- Ne sono quasi sicuro solo che non l’ha clonato, se l’e fatto clonare.
- E quale badge si sarebbe fatto clonare?
- Il mio, per esempio. L’operazione non è difficile: l’apparecchiatura per i badge, quella sulla scrivania di Alfio, è un modello antidiluviano e un esperto informatico, come chi dico io, la può facilmente manipolare.
- Occorrerebbe l’originale.
- Neanche questo è difficile. Quando il citato esperto informatico fa certe cose con il titolare dell’originale, gli può agevolmente fregare il badge dalla tasca dei pantaloni. Poi, con una scusa, va in portineria mentre Alfio è di ronda, o è in mensa, o che so io, clona il badge in pochi istanti, torna dal titolare, glielo rimette in tasca, e il gioco è fatto.
- Un esperto informatico?
- Come chi dico io.
- O come Alfio.
- Alfio non è...
- No, ma anche lui potrebbe sapere come imbrogliare la macchinetta.
- Non ha mai avuto occasioni per fregarmi la mia.
- Ne sei certo? E quelli dell’“Astertron” ne sarebbero altrettanto certi?
- Terry, non tirare in ballo quel brav’uomo! Posso mettere la mano sul fuoco per lui.
- Certo ma a quelli dell’”Astertron” la tua mano alla brace potrebbe risultare indigesta e comunque, nella migliore ipotesi, Alfio sarebbe cacciato e tu assieme a lui, entrambi per negligenza nella custodia, tu per via del badge, lui per via della macchinetta: la lasciava spesso incustodita e su questo punto nessuno può mettere la mano sul fuoco, nemmeno tu, esimio principale... Ahà! Adesso capisco perché hai detto che ti fotteranno.
- Non ci avevo pensato, è proprio vero! Solo com’era, Alfio doveva sempre correre a destra e a sinistra. Ma questo discorso per quelli là non vale un fico secco e gliela farebbero pagare in ogni caso
- Se poi qualcuno sospettasse che Alfio e Taveggia potrebbero... anche loro... Già garantisci per Helmut, e non so bene con quale autorità, far accettare la tua parola anche per scagionare Alfio sarebbe pretendere troppo, non trovi?
- Eh si, alla “Astertron” due mani alla brace sarebbero veramente difficili da digerire.
- Bravo, vedo che mi segui: nessuno crederebbe alla tua fandonia dell’esperto informatico e, anche ci credesse, non hai prove sicure contro di lui. Permetti un consiglio Ezio: meglio lasciar correre questa storia di tessere clonate. La versione ufficiale è che quel cretino di Taveggia ha tirato a indovinare e ha indovinato la sera giusta per violare la sagrestia. Forse ti salvi le chiappe.
- Bene Terry, - sospirai contrariato - hai vinto tu. Non ho le carte giuste.
- Pare proprio di no.
- E il brutto è che, a conclusione della faccenda, qualcuno chiederà in ogni caso la mia testa... A proposito di testa, che atroce emicrania! Me la sono procurata cercando d’incastrarti e guarda con che risultato... Dov’è un’Aspirina? Ah già, qui nel cassetto della scrivania, quello basso, quello che di solito non apro mai... come sai certamente.
Terry sbiancò in volto e mandò un breve grido.
- Non vuoi che lo apra, Terry? Sta bene, aspetto, infatti prima debbo comunicarti ancora alcune cosucce di cui m’ero dimenticato. Per esempio non riuscivo a risolvere l’enigma principale: il reale obbiettivo di Taveggia nella sagrestia. Sulle prime avevo supposto: quei tre sono i veri traditori al soldo dei tedeschi. Tu, in combutta con Aldo, avevi preparato il terreno promettendoti a quel sempliciotto purché diventasse esecutore materiale del piano. Si, perché sapevi benissimo che Taveggia moriva dalla voglia di fartisi.
- Non era l’unico quassù.
- No, ma per lui la voglia è stata fatale... Poi ho riflettuto e ho capito quanto assurda fosse quest’ipotesi: le trame della “Elektrobund” nelle mani d’un ruffiano mollaccione e d’un idiota, certamente incapace di manipolare il P.A.M.? Assurdo!
- Dimentichi me?
- Ci mancherebbe, dolcezza. Effettivamente l’unica in gamba eri tu, Terry: una seducente, spregiudicata, inquietante esperta informatica, ma non potevi farcela da sola e inoltre non volevi esporti, troppo rischioso. Dunque tra voi e la “Elektrobund” non c’era alcun nesso.
- E allora?
- Ecco appunto l’enigma principale... Pensa e ripensa, ho formulato una domandina facile, la risposta alla quale poteva fornire anche la chiave per risolvere l’enigma. Eccola: è proprio del tutto vero che Helmut non entra per niente nella trama?
- Io non mi pronuncio ma tu stesso, solo poco fa, hai detto d’avere fiducia in lui.
- Si ma non ho detto che non avesse anche lui la sua parte, quantunque involontaria. La risposta è stata positiva perché ho ritenuto che Aldo, ma soprattutto tu, ve lo foste fatto amico affinché, complice qualche sbornia clandestina e qualche prestazione particolare da parte tua...
- Quali prestazioni, cazzone? Helmut è sposatissimo e fedelissimo e io non sono la puttana che pensi!
- Faccio ammenda Terry, mi sono spinto troppo in là con le ipotesi... D’accordo, Helmut è un marito fedele che aveva bisogno solo d’una compagnia normale dopo ore e ore assieme al vecchio squinternato.
- Quindi?
- Quindi tu non sei una puttana ma la cosa cambia poco perché, evidentemente, sono bastate le sbronze per indurlo a spifferarvi i contenuti dell’altra stanza, non quella del P.A.M., che Taveggia non poteva violare, bensì l’altra, quella con tutto il casino di carte, lavagne, computer e... tanti dischetti, chiavette USB, DVD, eccetera... a cataste.
- Durano ancora tanto queste scempiaggini? Devo farmi il trucco.
- Calma, bella. Una volta Helmut m’ha accennato che, pur trattandosi di faccende forse non compromettenti la sicurezza di “Eurocruiser”, tra quei supporti, visto il casino che regnava nello studio, potevano essergliene sfuggiti di interessanti e, reputo io e non solo io, di grande valore sul mercato dello spionaggio industriale: un’autentica manna per chi li rubava ma un possibile danno per l’“Astertron”. Ecco dunque il reale obbiettivo di Taveggia: rubare quanti più supporti possibile prima che Kramer, a progetto concluso, ne facesse un falò. Poi avresti pensato tu, l’esperta informatica, a selezionare il materiale rubato... Povero Taveggia! Era tanto preso di te che, come da tue istruzioni e con un morto sulla coscienza, ha ugualmente nascosto i supporti rubati qui, al sicuro, nel cassetto che di solito non apro mai... Toh, sorpresa! Che ci fa tutta questa roba nel mio cassetto basso?
- Brutto figlio di...
- Vuoi che esca, Terry? Così (anche il lieto fine avevi previsto) puoi prendere tutto il materiale senza che io ti veda e portarlo fuori dal campo più tardi, tanto Lazar non perquisisce voi donne, troppo signore mi ha detto Taveggia. Quindi scendi a Birat e lo consegni al vostro complice, l’amico di Taveggia che lavora presso la “Tomorik Contractors” e che s’è offerto di custodirlo fino alla chiusura di questo posto da lupi... Non vuoi più prenderlo? Saggia decisione Terry, meglio distruggere tutto: questo è materiale che scotta, potrebbe provocare altre disgrazie e una può bastare.
Sin dall’inizio del mio sermone Terry era diventata sempre più pallida e tremante ma, a conclusione di esso, la donna, con il tono sprezzante di chi tiri fuori un asso dalla manica, disse:
- Bella storia Ezio, molto coinvolgente, peccato che quella roba l’abbia rubata tu, stanotte, profittando del trambusto in sagrestia.
- Andiamo male, gioia non si dicono le bugie!
- La mia parola vale quanto la tua.
- Vedi Terry: l’Ufficio Centrale di Vigilanza “Astertron” non è un tribunale dove conta solo la prova oggettiva, in certi casi a quella gente bastano tre indizi per fare una prova, secondo i canoni dei vecchi gialli. E contro di te ci sono appunto tre indizi: la doppia versione sulla serata di Helmut, la faccenda dei badge clonati e questo materiale misteriosamente finito nella mia scrivania.
- Questi presunti indizi potrebbero ritorcersi contro di te, e pesantemente. Non puoi negarlo.
- Non lo nego, infatti.
- E allora?
- Allora debbo rinunciare a vincere fioretto contro fioretto e mi vedo costretto a usare lo sciabolone. Pertanto ecco la domanda finale poi chiudo: secondo te presterebbero più fede a una segretaria che organizzava per il vice capo del progetto ambigue serate a tre, con tanto di sbronze clandestine, oppure a un funzionario tanto degno di fiducia da rilasciargli un documento come questo? - dissi mettendo la lettera dell’“Astertron” sotto il bel nasino di Terry - Non ne sapevi nulla?
- No. - rispose la donna con un filo di voce.
- Bravo Alfio, ha osservato alla lettera le mie consegne... Lo ammetto, è un odioso episodio di classismo, di razzismo aziendale oserei dire, ma nella vita le cose vanno in un certo modo quindi suppongo tu sappia la risposta.
Terry s’arrese con un sorrisetto tra il rassegnato e l’ammirato.
- “Touché”, figlio di puttana! - disse - Hai vinto abusando della tua forza ma sei comunque uno con le palle, in tutti i sensi.
- Se lo dici tu.
- Prima d’essere cacciata assieme al mio beneamato mollusco una cosa vorrei saperla: come sapevi della roba nel cassetto?
- Semplice ragionamento, Terry; non potevano essere che qui. O, magari, oggi è il mio giorno fortunato e, prima, veramente cercavo qualcosa per l’emicrania così ho spalancato tutti i cassetti di questo dannato ufficio e ho trovato il malloppo. Tu che ne dici?
- Che allora, oltre alle palle, hai anche cervello o forse hai solo un gran sedere. A ogni modo congratulazioni, Sherlock Holmes!
- Grazie Terry: “Absit inuria verbis”...
- Non conosco il latinorum: ho il diploma di perito informatico.
- A parte i termini, dicevo, sono lusingato dal tuo giudizio perché anche tu sei stata un’avversaria di tutto rispetto, oltre che una valida segretaria e un’amante trenta e lode.
- Adesso intendi denunciarci?
- L’hai appena detto tu: sono solo tre indizi, molto opinabili. Basterebbe un leguleio morto di fame per togliervi dai guai, persino se il povero Taveggia parlasse, ma non parlerà perché lo hai letteralmente plagiato... No, non intendo denunziarvi, posso tuttavia licenziare te e Aldo, e posso farlo grazie a questa lettera, senza dover spiegare un bel niente alla sede centrale.
- E se invece qualcuno te ne chiedesse ragione?
- Spero non accada perché sarebbe un bel problema di coscienza. Dopo tutto siete corresponsabili non solo d’un omicidio ma anche d’aver traviato un povero scemo. Per Aldo non avrei scrupoli ma per te...
- A quel verme di Aldo seccherà solo essere cacciato per l’ennesima volta ma io, giuro, sono davvero turbata: sinceramente non volevo che le cose finissero così, e non perché ho perso un’occasione di far soldi, puoi credermi.
- Non mi sembri poi tanto turbata.
- Riesco sempre a nascondere le mie emozioni, tutte, anche quella che sento per te.
- Intendi l’attrazione fatale? Non l’hai mai nascosta più di tanto, a quanto mi risulta.
- Si tratta di
qualcosa che va oltre il sesso.
- Allora sento che anche a me sta succedendo la stessa cosa Terry... però non posso non licenziarti.
- Lo so. Vado a battere le lettere di dimissioni per me e Aldo.
- Battine una anche per me: temo ce ne sarà comunque bisogno, con tutte le negligenze che ho notato e che avrei dovuto sistemare. Ma prima ci sarebbe un ultimo lavoretto: un rapportino straordinario circa i fatti di stanotte.
- Dettamelo.
- Pensaci tu, ti do carta bianca.
- Allora non vuoi che accenni alla parte mia e di Aldo in tutta la faccenda?
- Cristo, Terry! Sei diventata improvvisamente tonta? Scrivi quel cazzo che vuoi, poi fa siglare il temino da Kramer e spediscilo, io non me la sento!
- Mi dai un ultimo bacio?
- Se non ne approfitti per fregarmi qualche dischetto dalle tasche.

Capitolo 17
L’indomani, verso le tredici, in compagnia di Alfio, Kramer e Pirovano, attendevo ansioso sulla spianata antistante il bunker 1.
Sempre più forte, il fragore di un elicottero rimbombava sulla nuda parete ovest del Tomorik. Dopo alcuni istanti, il velivolo apparve da dietro un costone e atterrò sulla spianata.
Il nostro quartetto andò incontro al quartetto che scese dalla carlinga; l’unica fisionomia nota era quella di Laurenti.
- Ecco qua il nostro eroe, signor presidente! - disse Renato - Ho il piacere di presentarle l’ingegner Ezio Marchi. Ezio carissimo, ho il grande onore di presentarti il dottor commendator Gianconsalvo Mazzoleni Recalcati di Valpenta, conte di San Sebastiano e di Roccascura, presidente esecutivo e amministratore unico dell’“Astertron S.p.A.”
Il commendatore, un sessantenne alto e dritto come un pioppo, sguardo tra il grifagno e il diplomatico, chioma argentea accuratamente scolpita, piglio da doge della Serenissima, mi rivolse un sorriso ortodontizzato e disse forte e chiaro:
- Marchi, per lei due sole parole: bravo e grazie! Letto il chiarissimo ed esaustivo rapporto fattoci prontamente pervenire dall’egregio ingegner Kramer, tanto siamo rimasti ammirati di fronte a così fulminea capacità d’iniziativa personale e a così perspicace talento investigativo, da ritenere nostro preciso dovere elogiarla personalmente e al più presto.
- Lei mi confonde, signor presidente. - risposi esterrefatto.
- Non c’interrompa, Marchi!... Sarebbe stata cosa gradita incontrarla prima della sua partenza per queste remote contrade ma purtroppo ciò è stato impossibile, causa un inammissibile eccesso di zelo da parte del nostro vicepresidente onorario che tra breve ella, purtroppo, conoscerà e che ha deliberato, senza consultarci, d’affrettare immotivatamente la di lei partenza. Abbiamo così perso l’occasione di conoscere anzitempo un sì valente collaboratore. Marchi, con il cuore in mano, la chiediamo di volerci perdonare per la nostra riprovevole condotta!
- Si figuri, signor presidente.
- E adesso ci permetta di presentarle i nostri accompagnatori: il professor dottor Sanna Demurtas Gonario, nostro, ahinoi, vicepresidente onorario...
- Piacere.
- Felliccissimo.
- Il professor avvocato duque Esteban de Montereig y Geltrù, del foro di Barcellona, consulente della corte dell’Aia e nostro esperto di diritto internazionale penale, civile e amministrativo, il quale avrà l’onore e l’onere di sostituirla nel suo incarico di commissario ad acta, risolvendo l’amaro “affaire” per cui siamo qui presenti e curando contestualmente la liquidazione finale dell’“Astertron Brasovia S.p.A.”.
- Piacere.
- Encantado.
- Già conosce il suo caro collega e amico Laurenti, supponiamo.
- Ma certo. - poi, rivolto sottovoce a Renato, sibilai - Vaffanculo, stronzo!
- A te, culo rotto! - fu, sempre sottovoce, la risposta sibilata dall’ex amico.
Ci esibimmo tutti nel rituale minuetto a base di salamelecchi, felicitazioni e strette di mano, fino a quando Mazzoleni proclamò:
- E adesso, signori, siamo dolenti ma prima il dovere, poi il piacere: ci attende la riunione ufficiale conclusiva dell’“Astertron Brasovia”.
- Psst, Alfio, Ehi! - bisbigliai.
- Comandi, ingegnere.
- Ha fatto sistemare il padiglione delle riunioni domenicali?
- Io di persona me n’occupai e come uno specchio lo ripulii, però sempre uno schifìo rimane.
- Grazie Alfio. Ci segua e attenda fuori della porta.
- Agli ordini, ingegnere.
- E i nostri splendidi collaboratori si ricreano in tanto squallore? - tuonò Mazzoleni entrando nel capannone - Demurtas!
- Si, ssignor commendattorre.
- Prenda nota: il nostro ragionier Vismara sia degradato al rango di secondo usciere con effetto immediato e, per quanto attiene al progetto “B.O.P.”, esigiamo lei preveda un centro ricreativo come si deve, diversamente ce ne risponderà di persona!
- Si, ssignor commendattorre.
- E adesso signori, al lavoro. Dichiaro aperta la seduta... Che fa Demurtas? Dorme? Fuori penna e registro dei verbali, cribbio! - ordinò Mazzoleni sedendo a capo d’un tavolo col ripiano in “Formica”, promosso tavolo per riunioni ad alto livello.
- Si, ssignor commendattorre
- Per quanto ci riguarda - seguitò Mazzoleni - saremo telegrafici. Primo punto all’O.d.G.: cerimonia protocollare d’elogio al nostro egregio ingegner Ezio Marchi... Marchi, questo è per lei - aggiunse consegnandomi un “Piaget” in oro massiccio e una busta chiusa - e nuovamente grazie, grazie di cuore!
- Grazie a lei, signor presidente, ma la pregherei di concedermi un favore.
- Dica, dica Marchi.
- Vorrei girare il “Piaget” al dottor Pirovano: oltre ad avermi validamente aiutato nel risolvere il caso, ha urgente necessità d’un orologio.
- Concesso, Marchi. Demurtas si svegli e metta a verbale.
- Si, ssignor commendattorre.
- Grazie Marchi, grazie signor presidente. - disse Pirovano commosso sino alle lacrime.
- Quanto a questa, non credo di meritarla. - aggiunsi tremante, restituendo a Mazzoleni la busta.
- Vuole avere la compiacenza di spiegarcene il motivo, caro Marchi? Come mai? Dopo quanto ella ha fatto per noi? - chiese il commendatore sconcertato.
- È vero, signor presidente, ho dato il mio contributo affinché il progetto andasse a buon fine, ho scoperto l’assassino del povero professore, ho evitato la fuga di appunti riservati ma ho anche le mie colpe: non sono riuscito, ehm, a smascherare gli altri responsabili del tentato furto di appunti riservati e, soprattutto, mi hanno fatto secco Rigoldi sotto al naso, tacendo poi su altre mie negligenze. Basta e avanza non solo perché io reputi di non meritare la busta ma anche perché lei esiga le mie dimissioni, che presenterò subito dopo la sua richiesta.
- Marchi, - replicò Mazzoleni dopo un minuto di silenzio carico d’enigmatici significati - quanto stiamo per dirle non dovrà uscire da quest’ignobile sito, e ciò valga per tutti i presenti. Intesi! - precisò lanciando all’uditorio un’occhiata fulminante.
- Si, signor presidente! - fu la corale risposta.
- Demurtas, è impazzito? Smetta di scrivere!
- Immeddiattammente, ssignor commendattorre.
- Forse, come tutti, ella ignora, caro Marchi, - continuò Mazzoleni didascalico - che noi già da qualche tempo ci saremmo ritirati dalla giungla degli affari per meditare sulla caducità della vita, ove non ne fossimo stati trattenuti dal senso di responsabilità verso i nostri preziosi subalterni. Auspichiamo tuttavia di poterlo fare quanto prima perché, ahinoi, negli affari il più abbietto cinismo, la più amorale spregiudicatezza sono divenuti pane quotidiano e ciò ella non può ignorarlo. Pertanto, nella logica di quest’abbietto cinismo, di quest’amorale spregiudicatezza, siamo purtroppo costretti a rivelarle che ella ci ha fatto un favore, involontario, ma pur sempre un immenso favore.
- Prego?
- Si, caro Marchi: il povero, illustre professor Rigoldi era ormai impossibile da gestire, un uomo pur sempre validissimo ma insofferente a qualsiasi regola, a qualsiasi procedura di sicurezza, a qualsiasi disciplina aziendale, in breve una bomba a scoppio ritardato per la nostra “Astertron”. Ne conviene, Marchi?
- Beh, in effetti... Anche se non starebbe a me giudicare.
- D’altronde, allontanare un tecnico di tale fama e capacità avrebbe potuto portare a conseguenze negative per l’immagine della nostra diletta azienda. Quindi, caro Marchi, se ci consente una metafora tanto plebea, oseremmo affermare che la sua dichiarata negligenza ci ha tolto le castagne dal fuoco. Per quanto precede, Marchi, le condoniamo le sue eventuali, lievi e involontarie negligenze e le ordiniamo d’accettare questa busta... senza tante storie, cribbio!
- Obbedisco, signor presidente!
- E adesso, signori, procediamo: secondo punto, variazioni nell’organico dirigenziale dell’azienda. Da quest’istante l’ingegner Helmut Kramer di Francoforte assume il posto del compianto professor Rigoldi per quanto attiene alle operazioni tecniche conclusive del progetto “Eurocruiser”, entra in pianta stabile nell’organico “Astertron” con emolumenti aumentati del trentasei per cento ed è informalmente nominato coordinatore tecnico del progetto per il controllo della rete microsismica prevista dal piano “B.O.P.”, progetto il cui contratto è stato da noi siglato la scorsa settimana. L’ingegner Kramer ne assumerà la responsabilità operativa tra un mese, quando il progetto sarà intrapreso in quel di Santa Rosita, California. Ha scritto Demurtas?
- Si, ssignor commendattorre.
- Herr Präsident, io molto commosso di questo onore.
- Il dottor Pirovano, alla chiusura di “Astertron Brasovia”, sarà destituito...
- No!
- Non c’interrompa, dottor Pirovano!... E assunto come direttore sanitario presso la clinica privata “Santa Croce”, della quale noi siamo azionisti di maggioranza, con congrui emolumenti, come da contratto a parte.
- Grazie, signor presidente!
- Prego, dottor Pirovano, e la smetta d’interrompere, cribbio!... Infine, “last but not least”, l’egregio ingegner Marchi, passate le consegne all’avvocato de Montereig y Geltrù, ha facoltà, qualora lo desideri, di ripartire immediatamente per l’Italia ove riprenderà le sue mansioni presso la nostra consociata “Industrial Security S.p.A.” con le nostre particolari raccomandazioni. Demurtas, ha scritto tutto?
- Mi parre di ssi, ssignor commendattorre.
- Come sarebbe a dire “le pare”? Lei è il solito incapace! Demurtas scriva: alle ore... il signor presidente propone formale mozione di censura avverso il segretario, vicepresidente prof. dott. Sanna Demurtas Gonario, con la seguente motivazione: scarsa diligenza nel redigere il presente verbale, presenti e votanti sette, favorevoli sei, contrari zero, astenuti uno... Astenuti uno? Come osa? Demurtas, non si astenga!
- No, ssignor commendattorre.
- Favorevoli sette, contrari zero, astenuti zero, mozione approvata. Alle ore... la seduta è tolta. Addì... Un momento. Vuole aggiungere qualcosa Marchi?
- Il brigadiere Cannavò...
- Cannavò?
- Signor presidente, anche lui...
- Già, dimenticavamo il nostro solerte, umile e prezioso coadiutore. Ci pare attenda all’esterno. Demurtas, introduca immediatamente il brigadiere Cannavò.
- Si, ssignor commendattorre.
- Comandi, signor presidente. - disse Alfio quando fu ammesso alla riunione.
- Cannavò, se è lecito, come te la cavi con l’inglese?
- Mi permettesse l’immodestia, signor presidente, non male. Tre anni all’Ufficio Stranieri della Questura di Catania prestai servizio.
- Ti andrebbe l’incarico di addetto alla sicurezza per il progetto “B.O.P.” in California, con stipendio aumentato del venti per cento, trasferta, straordinari a ore, vettura per usi di servizio e personali, una licenza pagata di sei giorni ogni tre mesi, con rimborso dell’aereo, ove tu desideri trascorrerla in Italia, più sei uomini ai tuoi ordini?
- Min... Si, signor presidente, mi va... però prima mi permettesse...
- Conosciamo già la tua domanda, Cannavò; cosa significa “B.O.P.”? Semplicemente “Big One Prewiew”, tu capisci di che sto parlando?
- Sissignore, signor presidente, ‘u grande terremuoto ma io, con il dovuto rispetto, volevo pure chiederci...
- Parla Cannavò, ti stiamo sempre ascoltando.
- Un po’ di ferie, sono mesi che...
- Abbiamo previsto anche questo, Cannavò. Demurtas aggiunga: prima della missione in California il brigadiere Cannavò Alfio prenderà venti... trenta giorni di ferie straordinarie prepagate. Signori, riteniamo sia tutto. Demurtas concluda: addì... e firmi in calce a sinistra... a sinistra abbiamo detto, non a destra, cribbio!... Ah, se lei non fosse nipote di sua eminenza il cardinale...
- Sono confusso, ssignor commendattorre.
- E adesso, signori, andiamo a ristorarci: ci siamo permessi di portare con noi, direttamente dalla nostra cara patria, una sobria ma sana merenda annaffiata da un goccio di buon vino per tutti... eccetto che per il nostro capace e discreto medico; ne siamo dolenti ma ella certamente ci comprende, vero dottore? Demurtas, vada al refettorio onde controllare se i nostri raffreddi sono approntati e se il “Bric San Gaudenzio 1977” e il “Dom Perignon” sono a temperature idonee, e non come quella volta che ella...
- Si, ssignor commendattorre.
- Signor presidente...
- Dica pure Marchi.
- Vorrei mi concedesse due minuti per parlare in privato con il dottor Laurenti, se non le spiace.
- Concessi Marchi, ma non più di due: questa frizzante aura montana ha, ahinoi, stimolato i nostri appetiti più materiali.
- Brutto merdone! - sbottai non appena Renato e io restammo soli - Hai visto in che cazzo di casini mi hai scaraventato?
- Oibò Ezio, rilassati. Mi pare che tu ne sia uscito carico di gloria.
- Si, ma prima sono stato mesi ad ammuffire in questo porcaio e ho rischiato di concludere la missione con un calcio nel culo invece che con un “Piaget” d’oro e una bustarella! Vigliacco, serpente a sonagli, pataccaro!
- Ecco qua: un povero Cristo si fa il mazzo per anni con il bel risultato di vedersi sopravanzato da un puzzoncello che ottiene casualmente sul campo la vicepresidenza onoraria della “I.S. S.p.A.”. Così, quando il puzzoncello lo investe a male parole, il povero Cristo non può manco rifilargli un pugno sul naso bitorzoluto.
- Non è un bitorzolo, è un foruncolo, subalterno! E getti immediatamente quella fetentissima cicca!
- Col cazzo, signor vicepresidente onorario!

Capitolo 18
- Che cosa ne pensi? - domandai alla fine.
- Così e così. - rispose Linda.
- Come mai una valutazione tanto mediocre? Non l’avrei mai pensato, viste le tue reazioni di poco fa.
- Intendiamoci Ezio, sul piano tecnico sei una forza, un otto punto cinque Richter, ma quanto a “feeling” siamo sul moderato senza brio.
- Sciocchezze Linda, il “feeling” è una fandonia. Sei solo un po’ ansiosa perché devi tornare subito al lavoro.
- Invece il “feeling” esiste, e come: la sera prima della tua partenza, anche se non abbiamo fatto sesso, scorreva a fiumi.
- Ma và.
- Io certe cose le sento... E meno male che in Brasovia donne non dovevano essercene.
- Che c’entrano adesso le donne in Brasovia? Guarda Linda che ti...
Vidi lo sguardo solare di Linda offuscarsi bruscamente.
- E io sono stata ad aspettarti otto mesi come una cretina, dongiovanni da discoteca!
- Ti giuro...
- Passami i vestiti. Non intendo restare un altro istante sotto lo stesso tetto in compagnia d’uno svergognato fedifrago! Sono una donna emancipata ma ho i miei principi, per questo...
- Almeno restiamo amici.
- Per questo sai che ti dico, sudicione? Se vuoi fartela ancora con me stasera vieni tu a casa mia... Guarda che cesso di loft, quattro mobilucci d’occasione e un quintale di polvere!... See you later, honey; adesso devo proprio fiondarmi al lavoro.
I mesi passavano: già un anno era trascorso dall’inizio dell’avventura in Brasovia e mi trovavo nuovamente davanti alla scrivania del gran capo.
- Un attimo, finisco di siglare queste cartacce e sono da lei, Marchi. - disse Ferrero.
- Faccia pure con comodo, signor presidente.
- Ho perfino la mano anchilosata a furia di firmare, o bastalà!... Dunque, il motivo per cui s’è messo a rapporto, Marchi?
- Ecco, signor presidente, mi permetto di segnalarle che, quantunque abbia assunto la carica di vicepresidente onorario, continuo a svolgere le stesse identiche mansioni di prima, anzi anche meno.
- E osa lamentarsene? Non fa un piffero da mattina a sera perché, diffidente come sono, penso a tutto io, ha un ufficio migliore di questo, ha una segretaria che non sarà una Venere ma è la più capace qui dentro, prende quello sproposito di competenze e viene a piagnucolare e a farmi perdere tempo?
- Signor presidente...
- Come il solito lei non capisce una madonna! Se avesse un minimo di cervello avrebbe già capito che il suo ruolo, essere sempre a disposizione dell’azienda per i casi di necessità, non è mutato: adesso fortunatamente non ne abbiamo quindi torni nella sua stanza e non rompa mai più i corbezzoli con queste stupidaggini, altrimenti la faccio volare da quella finestra, cuntacc’! Dietro front... Al tempo!
- Dica, signor presidente.
- Ha sentito del perito Ceriani?
- Povero ragazzo, guardi che brutta fine è andato a fare un elemento di spicco come lui.
- Questi giovani! Ragazze, discoteche, pasticche, macchine sportive... E poi parlano di stragi del sabato sera! Saprei io come porvi rimedio... Comunque, strano a dirsi, ma una volta tanto le do ragione Marchi: un balengo ma un balengo di genio, per questo ho fatto pubblicare un annuncio sui giornali: l’azienda ha urgente bisogno di sostituirlo.
- Ottima idea, signor presidente.
- Non ho bisogno delle sue solite sviolinate, Marchi. Ecco qui le domande d’assunzione, una montagna, come vede, ma è la solita marmaglia da quattro soldi. Tuttavia, in mezzo alla marmaglia, un elemento interessante l’ho notato, quantunque si tratti d’elemento femminile. Si tratta di tale perito Ghiringhelli, la quale non ha particolari referenze ma asserisce di conoscerla personalmente.
- Mai sentita nominare.
- No? Strano... In ogni modo il perito Ghiringhelli è in anticamera. Se la sbrighi lei e, se è il caso, la inserisca immediatamente nell’organico; non so chi diavolo me lo faccia fare ma le accordo questa fiducia, Marchi... Chi le ha dato licenza d’andarsene? Un attimo ancora, Marchi, e una raccomandazione: non tiri dentro mezze calzette altrimenti la considero personalmente responsabile!
- Non succederà, signor presidente.
Quando il perito Ghiringhelli entrò nel mio ufficio, mi sorrise con una luce indefinibilmente febbrile negli occhi, una luce che tuttavia non m’era nuova...
- Terry? Tu qui? - dissi col cuore in subbuglio - Ma... ma... come hai osato fare il mio nome al signor presidente, pur sapendo quello che so di te?
- Sorpreso, amore? Lo immaginavo che il mio cognome da ragazza non t’avrebbe detto niente, ma lo uso da quando ho piantato il mollusco. Comunque scusa se t’ho spaventato.
- Terry, esci immediatamente da questa stanza se non vuoi che spifferi tutto al capo e pensi lui a denunciarti!
- Non vuoi che io dia una mano qui, nella tua prestigiosa azienda? Sai che me la cavo, sia come esperta informatica che come segretaria; magari finisce che prendo il posto della sgrinfia là fuori e ricominciamo a fare tutte quelle cosine che facevamo su al Tomorik. Ricordi?
La luce negli occhi di Terry si fece sempre più febbrile...
- Terry, te lo ripeto...
- Via amore, so che sei un duro dal cuore tenero e non posso pensare che tu abbia dimenticato così presto la calda amante della Brasovia.
L’aroma di mughetto si fece sempre più inebriante...
- No, ma...
- Come non posso pensare tu abbia dimenticato la faccenda delle tessere clonate, vero?
- Questo è un...
- Chissà cosa direbbe quel bell’uomo nell’ufficio accanto, una così illustre autorità nel campo sicurezza industriale, se vedesse questi - chiese Terry sciorinando sulla mia scrivania una dozzina di badge dell’“Astertron Brasovia” con relativi talloncini gialli e rossi - e se io gli rivelassi quanto facile fosse clonarli... e per colpa di chi?
- Direbbe a te che questa è la più sudicia delle porcate, poi ordinerebbe a me di buttarmi dalla finestra prima che provveda lui di persona, cazzo!
- E tu cosa dici?
La voce di Terry si fece sempre più profonda e insinuante...
- Dico anch’io che questa è la più sudicia delle porcate...
- E basta?
- Ma che, talvolta, non tutti i ricatti vengono per nuocere, quindi... Signorina Mirella! - gridai all’interfono - prepari una proposta d’assunzione per il perito Ghiringhelli, poi venga... Al tempo, aspetti miei ordini e non faccia entrare nessuno! Nessuno, neanche il capo! Intesi?
- Saggia decisione Ezio. Meglio non essere disturbati mentre parliamo un po’ dei vecchi tempi.
Il corpo armonioso di Terry si fece sempre più tentatore...